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Alec Torelli: ‘Ecco come si accetta di perdere e sbagliare’

Quando si gioca a poker e tutto fila per il verso giusto, anche per un professionista sedersi al computer e grindare diventa un piacere: tuttavia, è proprio quando le cose vanno storte che emerge la vera pasta di un giocatore, in quanto venire a patti coi propri insuccessi e continuare a insistere non è mai banale.

Alec Torelli in questo senso può ben dire di avere esperienza, sia perché ha imboccato la strada del professionismo ormai da diverso tempo, sia perché negli anni è riuscito a raggiungere livelli particolarmente alti, dove le cifre in ballo sono davvero considerevoli e quindi la differenza tra vincere e perdere diventa particolarmente sensibile, almeno finanziariamente.

Nonostante questo, al pari di molti altri il californiano ha saputo sviluppare una certa “immunità” da quelle che sono le fluttuazioni che il gioco inevitabilmente comporta, un risultato frutto dell’esperienza e di un lungo percorso: “E’ una questione di prospettiva, ad esempio dopo essere stati eliminati dal Super High Roller di Barcellona si può pensare a quanta fortuna serva per vincerlo, e quanti eventi è possibile non averla e continuare ad essere eliminati – ha dichiarato a PokerStars.tv – si tratta di qualcosa che accadrà anche se fai del tuo meglio, è al di fuori del tuo controllo, e non accettarlo per un giocatore significa fare a pugni con la realtà, è una battaglia inutile“.

Torelli si era iscritto al torneo a partire dal day 2: il giorno prima era con la famiglia (photo courtesy Neil Stoddart)

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C’è poi un altro aspetto che “traheho” tiene a sottolineare, anche questo reso più chiaro dal tempo e dall’esperienza accumulata come professionista: “Quando il poker era l’unica cosa in cui investivo il mio tempo e la mia energia, è chiaro che quando le cose andavano male mi sentissi devastato, e questo significa esporre il fianco relativamente spesso. Se invece si coltivano anche altri interessi tutto diventa molto più bilanciato, nel mio caso si tratta dell’attività fisica, dell’interesse che ho per l’alimentazione e naturalmente anche della mia relazione”.

Per un professionista, del resto, non sono tanto dolorosi gli inevitabili colpi di sfortuna, quanto gli errori più o meno gravi commessi che possono finire col compromettere il risultato in un torneo oppure in una sessione di cash game: “Sono sicuramente le situazioni più amare, quando si butta via un torneo o si perde un grosso piatto sapendo di aver commesso un errore stupido, una giocata ben al di sotto dei propri standard, ma bisogna accettarlo perché siamo degli esseri umani. Io sbaglio come qualunque giocatore che abbia partecipato a quel torneo, e proprio come è accaduto a Michael Jordan o Roger Federer”.

Non si tratta quindi di diventare improvvisamente dei monaci tibetani, ma più semplicemente di accettare che né la realtà né noi stessi possiamo sempre soddisfare i nostri desideri ed aspettative, il che naturalmente non significa che si tratti di un esercizio semplice.

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