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Lei non sa chi sono io: l'(a)normalità del poker

[imagebanner gruppo=pokerstars] Nel 2010 ero lì, quando Jake Cody vinse l’EPT di Deauville, malgrado tifassi sfacciatamente per la doppietta di Mike McDonald. Ero lì anche quando Kevin MacPhee conquistò l’EPT di Berlino, nonostante una clamorosa rapina, ma naturalmente né lui né il pro di PokerStars lo hanno mai saputo.

Neppure Jens Kyllonen sa che seguo i suoi risultati fin da quando – anni fa – provava a prendere posto in pianta stabile ai tavoli di cash game high stakes su Full Tilt, parlandone con tono ora entusiasta ora frustrato nel suo blog. In fondo è normale: lui, come gli altri, perché mai dovrebbe?

La mia è solo una faccia anonima, come quella di tanti altri in cui inciampano in ogni casinò dove mettono piede, la faccia di qualcuno che non è stato abbastanza bravo, o coraggioso o fortunato e testardo da essere al posto loro, e che con tutta probabilità credono di non rivedere mai più. Per me, invece, è un po’ diverso: io so come si chiamano, quali nickname hanno e cosa giocano, da dove vengono e quanto hanno vinto, spesso li ho seguiti per anni, ho in qualche modo scommesso su di loro, e qualche volta ho perfino vinto.

In quell’EPT di Deauville, ad esempio, quando fotografavo Kyllonen c’era chi mi ricordava che era tempo perso, che erano solamente i giocatori italiani che interessavano al pubblico, non qualche ventenne scandinavo che non conosceva nessuno.

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Jens Kyllonen fa parapendio a Rio de Janeiro

Adesso un po’ di quegli italiani, agli EPT, non ci sono più, e Kyllonen va a cena con Miss Finlandia prima di giocare l’€200/€400 al Portomaso, il che mi fa pensare che forse come fotografo sono meno peggio di quanto credo. O magari ho avuto culo.

Naturalmente questo ai vari professionisti che ho continuato a fotografare qui all’EPT di Malta non potrebbe importare di meno, ed anzi potrebbero essere stati vagamente infastiditi da tutta quell’insistenza discreta: sono qui per giocare a poker, non per sorridere ad un obiettivo che non sia il loro, specie se non hanno alcun contratto che li impegni a portare una qualche patch addosso.

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Charlie “Epiphany77” Carrel non lascia il resto (courtesy Neil Stoddart)

La loro normalità quando si hanno di fronte – dal modo in cui vestono a come si comportano durante il giorno – molto spesso stride con tutti i racconti, i grafici e gli aneddoti di cui ho e avete letto su di loro.

Quaggiù, malgrado se ne vedano in giro nessuno ha una Lamborghini ad aspettarlo fuori dall’albergo, o indossa al tavolo uno dei suoi braccialetti WSOP, né atterra davanti al casinò in elicottero o sbatte pacchi di banconote sul tavolo. Beh, quasi mai, giuro…

E perfino quando succede, quando siedono con decine di migliaia di euro davanti, giocatori come Haxton, Sahamies, van Hoof o Mizzi ridono scherzando fra loro come se quello che stiano facendo fosse una cosa del tutto normale, come se fossero soltanto un gruppo di ragazzi qualsiasi con la voglia di giocare un po’ a carte.

Ma questo (Lamborghini o no) sappiamo che non sia del tutto vero, perché se loro non sanno chi sono io, io so chi sono loro, o almeno è quello che credo, naturalmente sbagliando…

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