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Tony Dunst

La teoria del grinding – 1° parte

Un vecchio post sul forum americano TwoPlusTwo condiviso dal noto giocatore professionista e grinder degli MTT online, Tony Dunst merita una riflessione nel mondo del poker e sulla “teoria del grinding”, un concetto perso un pò di vista negli ultimi anni.

La traduzione fedele del post di “Bond18” può essere un contenuto interessante che regala ottimi spunti per quanto concerne il mental coaching e la psicologia applicata al giochino. Spunti e temi ancora attuali, in particolar modo per i giovani grinder di oggi che stanno provando a emergere. Buona lettura!

In questo Articolo:

  • 1 Tony Dunst: “raggiungono l’eccellenza le persone che si esercitano più spesso”
  • 2 “In tanti non sono a conoscenza del proprio potenziale”
  • 3 “Abbiamo infinite potenzialità, io ho superato limiti che credevo invalicabili”
  • 4 Talento e successo: legame sopravvalutato?

Tony Dunst: “raggiungono l’eccellenza le persone che si esercitano più spesso”

“Sarà una sorpresa per pochissimi scoprire che coloro che raggiungono livelli di eccellenza in particolari ambiti sono quelle persone che si esercitano più spesso e che utilizzano il proprio tempo nella maniera più efficace. Non è certo un segreto che per primeggiare in qualcosa bisogna dedicarcisi con anima e corpo, soprattutto in quei campi dove i principali competitor faranno lo stesso.

Per il poker funziona allo stesso modo, ed è un contesto particolarmente complesso in cui resistere al top per via del tempo richiesto che ci obbliga a dover scegliere fra il perseguire l’eccellenza nel gioco e il dedicarci ad altre passioni al di fuori di esso che servono a farci migliorare come persone. Inoltre, alcuni dei nostri concorrenti avranno pochi interessi al di fuori del poker e ciò consentirà loro d’immergersi nel gioco ancora più a fondo e con un fervore che sarà difficile da replicare per quelli di noi che hanno anche altre cose da fare.

“In tanti non sono a conoscenza del proprio potenziale”

Molte persone non sono a conoscenza del proprio potenziale. Di solito diamo per scontato il fatto che siamo naturalmente portati verso alcune attività e funzioni e che le nostre capacità di apprendimento per altre cose siano limitate dal patrimonio genetico, dalle risorse e dal tempo a disposizione, dalle opportunità oppure dalla nostra stessa apatia.

Come risultato di anni di condizionamento sociale, abbiamo programmato nelle nostre personalità le cosiddette “credenze limitanti”, ossia congetture su quello che possiamo e non possiamo fare in base alla nostra esperienza, a quello che la società ci ha insegnato ed ai feedback che riceviamo da colleghi e persone care. Queste convinzioni limitanti sono particolarmente dannose per coloro che non hanno assaporato il successo in precedenza: se non sei mai riuscito ad essere bravo in una particolare cosa, cosa ti fa pensare di potercela fare in qualche altro ambito?

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“Abbiamo infinite potenzialità, io ho superato limiti che credevo invalicabili”

Spesso riteniamo di essere capaci di fare qualcosa di cui ci stiamo occupando e di poter migliore di un po’, ma soltanto in pochi hanno la necessaria ambizione ed audacia di credere di avere le possibilità di entrare a fare parte dell’élite, soprattutto in contesti altamente competitivi. La verità, comunque, è che abbiamo pressoché infinite potenzialità e risorse a cui attingere, ed io stesso, nel corso degli ultimi anni, ho superato limiti che credevo invalicabili per tante di quelle volte che ora penso che praticamente quasi nulla sia impossibile da realizzare.

Naturalmente tutto ciò deve rimanere nei confini del reale. Per dire, io sono alto 175 cm ed ho 26 anni: per quanto voglia esercitarmi non sarò mai in grado di diventare una stella dell’NBA. Tuttavia, allenandomi a dovere potrei diventare molto bravo nel basket, anche se praticamente non ho alcun talento naturale verso questo sport.

Talento e successo: legame sopravvalutato?

La maggior parte delle persone intravedono un legame spesso troppo forte fra talento e successo, ma in realtà, la nostra percezione di questa abilità innata è spesso esagerata oppure illusoria. La vera discriminante risiede nella pratica: ore ed ore di applicazione. Malcolm Gladwell ha scritto quanto segue nel suo capolavoro Outliers:

Per quasi una generazione, gli psicologi di tutto il mondo sono stati impegnati in un vivace dibattito su una questione che la maggior parte di noi considera ormai risolta da anni. La domanda è questa: esiste il talento innato? La risposta ovvia è sì. Non tutti i giocatori di hockey nati in gennaio finiscono per diventare dei professionisti. Solo alcuni ci riescono, quelli che hanno talento. I risultati arrivano da una combinazione di talento e preparazione. Il problema con questo punto di vista è che più gli psicologi studiano le carriere di quelli che hanno ricevuto un dono innato e più esso sembra marginale rispetto all’impatto della preparazione.” (continua)

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