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Poker e psicologia: l’influenza dell’autopercezione

Vestirsi bene per grindare meglio, esprimendo un gioco migliore e registrando profitti più alti: pare assurdo, ma può avere un senso? E se ce l’avesse, come si potrebbe cercare di spiegare questo fenomeno da un punto di vista psicologico?

Il quesito è stato posto da un giocatore di poker online professionista sul forum statunitense 2+2, in una discussione che forse  poteva apparire di scarso interesse, ma che a mio avviso consente di far capire quanto i processi psicologici che ci caratterizzano come esseri umani abbiano una loro influenza anche in contesti e modi inattesi.

Quel giocatore aveva notato un fatto curioso, ovvero che da quando – prima di cominciare la propria sessione – aveva iniziato a prepararsi accuratamente, proprio come se dovesse recarsi al lavoro, il suo gioco era sensibilmente migliorato così come il suo guadagno orario.

Radersi, mettersi una camicia, un bel vestito, ma anziché varcare la soglia dell’ufficio sedersi al computer e giocare: di certo un comportamento originale, per qualcuno forse perfino ridicolo. Quell’uomo era dunque un pazzo? Magari no…

Per capire come si possa verificare qualcosa di simile, possiamo far riferimento alla teoria dell’autopercezione di Bem, una delle più importanti fra quelle che cercano di spiegare la relazione che intercorre fra gli atteggiamenti (intesi come tendenze psicologiche espresse nei confronti di qualche entità con un certo grado di favore o sfavore) ed i comportamenti.

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Secondo questa teoria, gli individui non hanno la possibilità di accedere ai propri stati interni in modo chiaro, e quindi spesso per interpretarli sono nella condizione di doverli dedurre dal proprio comportamento, così come avviene con persone terze.

Vincent Secher, in accappatoio all'EPT di Montecarlo 2008Ammettiamo quindi che io mi presenti di fronte al computer prima di iniziare una sessione vestito in modo trasandato, con la barba incolta e cose del genere: basandomi sul mio comportamento, quale atteggiamento potrei dedurre che abbia nei confronti di quello che sto per fare?

Viceversa, ammettiamo che io mi sieda di fronte allo schermo ben rasato ed odorante di dopobarba, pettinato e vestito in modo curato, se non addirittura elegante: in fondo col mio comportamento non sto dicendomi di investire molto di più in quello che sto per accingermi a fare? Non dimostro di tenere molto di più al suo risultato?

Di sicuro, esistono un sacco di giocatori vincenti che grindano nelle situazioni più discutibili, e che quindi sembrano sconfessare quanto detto finora, ma è anche vero che quello che vale per una persona può non valere per un’altra. Non si tratta quindi di trovare un’equazione vincente, o di affermare che le cose funzionino esattamente così, ma di sottolineare piuttosto quanto – come persone – si possa essere soggetti anche nel gioco ad influenze di vario tipo. Talvolta perfino inaspettate o curiose.

Una camicia di Armani non basterà di certo a rendervi più forti, ma sicuramente una riflessione simile – partita da un’osservazione se volete provocatoria – può aiutarci a capire quanti elementi extra-tecnici possano concorrere nell’influenzare ad esempio la nostra concentrazione e motivazione, e quindi il nostro rendimento al tavolo. Averne maggiore consapevolezza è soltanto un’arma in più che potrete far valere nei confronti dei vostri avversari.

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