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WSOP Big 50

Un sogno chiamato WSOP, seconda parte: un Day 2 indimenticabile

Quando mi sveglio, il giorno dopo il Day 1 del Big 50 alle WSOP 2019, ci metto venti secondi buoni a realizzare dove sono. No, non mi sono immaginato tutto quanto: mi trovo davvero al Rio di Las Vegas e sono riuscito a qualificarmi per il Day 2 del torneo. Che per fortuna non è oggi, perché abbassatisi i livelli di adrenalina, si alzano quelli della stanchezza. Dopo tutto, nemmeno due giorni prima mi svegliavo all’alba per prendere un doppio volo; un viaggio della durata complessiva di oltre 16 ore.

Accendo il telefono e vedo tanti messaggi di familiari e amici che si congratulano con me. Immancabili gli sfottò dei colleghi di redazione, nessuno escluso. Il buon Domenico Gioffrè prepara già il mio profilo in vista del tavolo finale, Andrea ‘Topkapias’ Borea è pronto a intervistarmi braccialetto al polso, mentre Matteo Felli e Luciano ‘Luckyflush’ Del Frate discutono di quanto la mia fortuna superi quella di Gastone Paperone.

Hand review a bordo piscina

Con T-Bird decidiamo di prendercela comoda: colazione con calma, poi un tuffo in piscina. Ma non riusciamo a smettere di pensare al poker. D’altra parte va bene il riposo, ma c’è da preparare il Day 2 del torneo l’indomani, e quale attività migliore di un po’ di sana hand review?

Ho la fortuna di poter chiacchierare di Texas Hold’em con un giocatore come lui, che ha vinto un Sunday Special (e un’altra volta è arrivato secondo) e che lasciatemelo dire: pur non essendo un giocatore professionista, a livello tecnico e teorico dà la paga a tanti pro player – italiani e non solo.

Così, tra un’analisi di uno spot e un po’ di tintarella, mattina e primo pomeriggio volano in un amen. Dopo un corroborante riposino, decidiamo di fare una passeggiata sulla Strip e di cenare da Giada al The Cromwell, il ristorante di Giada de Laurentiis. Prezzi tutto sommato onesti per la location e qualità decisamente buona: se capitate a Las Vegas e volete cenare in un ambiente elegante ed accogliente, ma senza svenarvi, questa potrebbe essere una soluzione ideale.

La notte di Las Vegas è ancora giovane, e non c’è bisogno che vi elenchi i mille e uno modi per impegnarla. Ma non siamo qui per folleggiare: ci aspetta l’assalto al The Big 50.

 

 

Day 2: un inizio da incubo

Si riparte alle 10 ora locale, per ulteriori 7 livelli di gioco. Degli oltre 7.000 partenti nel Day 1C siamo rimasti in 1.504, ma solo 1.078 di noi combattenti del Day 2C andranno a premio. Ci si ritrova tutti nella Pavillion Room e il tavolo che mi viene assegnato è il numero 161, posto 1.

Credevo di aver superato la tensione durante il Day 1, ma non appena sbusto i miei 134.000 gettoni ecco che l’ansia mi assale di nuovo: sono riuscito a passare il primo giorno di gioco e sono quasi a premio, ma riuscirò a piazzare la proverbiale bandierina? E se venissi eliminato in bolla? Il sogno di una vita, un viaggio intercontinentale, per poi cadere sul più bello? Più che un sogno, sarebbe un incubo!

Pronti-via e non c’è più spazio per pensare ai se e ai ma: bisogna cercare di fare chip in ogni modo. Solo che le carte inizialmente non girano: quando ricevo mani decenti, sono fuori posizione e mi tocca foldare, perché con una ventina di big blind non posso inventarmi granché. Così non posso fare altro che chiudermi a riccio in attesa di una mano buona,  che arriva poco prima di metà livello.

Un giocatore dallo stack piuttosto grosso apre da bottone con un rilancio standard, intorno ai 15.000 gettoni, che vuol dire tutto e niente. Io da big blind ho circa 120.000 chip e finalmente spillo qualcosa di interessante: A Q .

Contando il raise del bottone, nel piatto ci sono già 33.000 chip: considerato che al netto di bui e ante ho più o meno 108.000, scelgo di andare all-in. Il mio avversario da bottone può aprire con un range molto ampio, visto anche il suo stack cospicuo: se folda, mi porto a casa il piatto e sono contento; se chiama, ci sono buone chance che io mi giochi almeno un coin flip. Effettivamente il player in questione fa call, ma purtroppo per me mostra A K : dopo AA, KK e QQ, la quarta combinazione peggiore per il mio AQ.

Potete immaginare lo scoramento che mi coglie: è la prima volta in quasi 14 livelli che rischio l’eliminazione dal torneo, e trovo una delle quattro starting hand contro cui sono messo peggio! Il flop è 2 9 2 e questo significa che sono aggrappato al miracolo di una donna: ne rimangono due nel mazzo, per un misero 8% circa di probabilità di salvarmi.

Il turn è un 10 che non sposta gli equilibri e a questo punto in bocca comincio ad avvertire l’amaro sapore dell’occasione fallita. Mi sento già fuori dal torneo, e così quando un 9 scende al turn, batto il pugno sul tavolo e faccio per alzarmi, ma… ehi, è un 9! Ci sono due 2 e due 9 sul tavolo, e questo significa split pot!

Il mio avversario storce il naso. Pregustava già di incrementare ulteriormente il suo stack con i miei gettoni, e lo capisco: pre-flop, la sua mano stava al 73% circa contro la mia. Ma gli Dei del poker avevano altri piani per il sottoscritto…

Parte la remuntada

Poco dopo lo scampato pericolo, ricevo K Q da middle position e apro il gioco rilanciando a 14.000 sui bui 3.000/6.000 e big blind ante 6.000. Foldano tutti fino allo small blind, che ha poco meno della metà delle mie chip. È un tizio che ha giocato qualche mano, tutte molto male, mostrando una certa passività.

Guarda le sue carte, valuta il suo stack, dà un’occhiata al mio e annuncia l’all-in.

Qualora chiamassi e perdessi, rimarrei con ancora una decina di big blind: mi sembra un’occasione troppo ghiotta per dare una scossa importante al mio stack, e anche per far vedere al tavolo che sì, sono un giocatore tight, ma non così chiuso da foldare tutto ciò che non è premium. Così faccio call, e il mio avversario gira A 10: ho due carte vive.

Una splendida Q al flop mi fa passare immediatamente in vantaggio. Il resto delle carte comuni è composto da un 2 ,  un 3 e un 5 che al turn concede al mio avversario non solo gli assi, ma anche i quattro per battermi. Il river è però un innocuo 2 che mi permette di incrementare lo stack di oltre il 50%.

Non passano dieci minuti e grazie a un paio di resteal pre-flop, uno con gli assi e uno con AQ, riesco a salire a 243.000 chip.

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Ufficiale: sono a premio al Big 50!

Dopo la prima pausa di giornata, il conteggio dei player rimasti dice 1.094 left con 1.078 a premio: è chiaro che durante il 16° livello del torneo (5.000/10.000/10.000) scoppierà la bolla. E infatti dopo nemmeno un giro completo comincia la fatidica fase hand for hand: questo significa che sia io sia T-Bird (che veleggia intorno alle 100.000 chip) siamo ad un passo dall’in the money.

Facciamo in tempo a giocare un paio di mani prima del fatidico annuncio: Congratulations players: you’re in the money!. Alzo le braccia al cielo ed esclamo uno “YES!” convinto: vorrei festeggiare molto di più, ma vedo che il resto del mio tavolo mantiene un certo contegno e quindi cerco di spegnere il mio entusiasmo sul nascere.

Però lasciatemelo dire: la soddisfazione è tanta.

Un torneo mastodontico, da oltre 28.000 entries, e sono riuscito a centrare l’obiettivo minimo, quello di andare a premio. Non scordatevi che è il mio primo evento WSOP in assoluto, e molto probabilmente anche l’ultimo chissà fino a quando. Ci tenevo tantissimo e ho il cuore davvero colmo di gioia.

Ma non c’è molto tempo per crogiolarsi, perché il gioco continua e a questo punto tanto vale cercare di arrivare il più in alto possibile, giocando libero mentalmente.

Un Claudio Poggi scatenato

Un mindset che si fa più aggressivo, unito indubbiamente a un mazzo che mi regala diverse opportunità per buttarmi nella mischia, mi permette di salire costantemente: passo da 234.000 a 336.000, poi volo (AA vs JJ) a 598.000, prima di saltare da 626.000 a 1.100.000!

La mano con cui trovo il double up penso sia una delle migliori che io abbia giocato a questo Big 50.

Al mio tavolo è appena arrivato un ragazzo mulatto, indiano credo, con tantissime chip: è senza dubbio il chip leader tra di noi. Non mi sembra un professionista navigato: è un po’ impacciato, fa cadere i gettoni, sembra quasi affannato.

Siamo a inizio 19° livello (10.000/20.000/20.000) e proprio lui da bottone apre il gioco a 55.000. Io ho K Q e difendo il mio big blind. Il flop è Q 10 7 e lascio la parola al mio avversario, che non va in continuation bet. Una mossa che mi fa pensare che possa avere qualcosa come AK-AJ, o magari una pocket pair medio-bassa, e che stia giocando sulla difensiva.

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Il turn è un 8 e faccio ancora check. Lui punta davvero il minimo, qualcosa come 55.000 su un piatto da 140.000: mi sembra una puntata fatta per cercare di portarsi via il piatto rischiando il meno possibile, nella convinzione che io non abbia granché se non magari due overcard. Per tutta risposta, annuncio il mio all-in.

Lui ci pensa su parecchio, e questo mi fa capire che probabilmente avevo ragione ad attribuirgli una coppia intermedia. Io andando all-in sto rappresentando tante combinazioni con progetti di scala o di colore, e forse è per questo che il mio avversario alla fine chiama mostrando 9 9 .

Sebbene abbia tantissimi out – tutti i quadri e tutti i jack, oltre naturalmente ai due 9 – il river è un 3 che mi fa tirare un lunghiiiiiiissimo sospiro di sollievo. Ho preso un bel rischio, ne sono consapevole, ma arrivato a quel punto del torneo mi sembrava corretto cominciare a provare qualche mossa high risk high reward. E mi è andata bene.

WSOP 2019 Claudio Poggi Big 50
In compagnia del mio big stack, prima di imbustarlo a fine Day 2

Il sogno continua

Ormai sono in the zone, come si dice in questi casi.

Come Neo in Matrix, vedo il codice sorgente delle carte: riesco a evitare gli spot scomodi, entro in gioco sempre con la mano migliore e quand’anche non è così, ho la capacità di portarmi a casa lo stesso il piatto sfruttando la situazione.

Come quando piazzo un open-raise pre-flop con A Q e ricevo il call del big blind, che copro abbondantemente: a occhio e croce avrà circa 300.000 chip. Il flop è K 8 9 : vado in continuation bet, sicuro che il mio avversario non mi chiamerà senza aver floppato almeno un re.

Oppo chiama.

Per quel che ho potuto vedere fin lì, è un buon giocatore, ma piuttosto scolastico e per niente propenso al rischio. Il turn è un 10 che mi dà un piccolo aiuto per elaborare un semi-bluff. Anche perché si avvicinano alcuni membri dello staff delle WSOP: al termine della mano, il nostro tavolo verrà chiuso.

Noto che il mio avversario sembra quasi abbia fretta di concludere la nostra sfida, e allora mi decido per sparare un secondo proiettile, piuttosto corposo: una bet che se chiamata, lascerebbe oppo con poco più di una puntata pari al piatto al river.

Lui va in the tank e io sento di averlo nel sacco. Quando mi chiede: “Visto che stanno chiudendo il tavolo, se foldo mi fai vedere le tue carte?”, io reagisco come se non mi fossi neppure accorto che quella sarebbe stata l’ultima mano giocata insieme, e rispondo: “Sì dai, visto che stanno chiudendo il tavolo”.

Folda e mostra K Q . Io sono ben lieto di mostrargli che non avevo altro a parte un progetto di scala a incastro. Lui la prende con filosofia, mentre io mi prendo le sue chip.

Ed è Day 3

Gioco l’ultimo livello di giornata ad un altro tavolo, dove però non succede praticamente nulla di interessante – almeno per me.

Perdo qualcosina, poi la recupero, apro un paio di piatti che vinco uncontested e quando il dealer annuncia le ultime tre mani comincio già a contare il mio stack.

Faccio persino in tempo ad aprire pre-flop nell’ultima mano del Day 2, ricevendo la debole resistenza del big blind che non appena mi vede investire delle chip nel piatto sulle prime tre carte comuni, decide di non aver voglia di rischiare quando siamo agli sgoccioli, e folda concedendomi il pot.

Aggiorno il conteggio, e potete immaginare la gioia dipinta sul mio volto quando sulla busta scrivo:

Claudio Poggi
Melzo (Italy)
1.690.000

Ho cominciato la giornata con 134.000 chip, l’ho finita con quasi 1,7 milioni.

Una piccola nota stonata

Ho faticato all’inizio, ho rischiato di rimanere a bocca asciutta, poi ho ingranato la quarta marcia e ho chiuso in trionfo più che decuplicando il mio stack. Se avessi potuto disegnare il mio secondo giorno di gioco alle World Series of Poker, non sarei stato in grado di immaginare un mix di emozioni così esplosivo.

Abbandonata la Pavillion Room, è ora di andare a cena con T-Bird.

Lo avevamo lasciato intorno alle 100.000 chip, in the money ma piuttosto corto. Purtroppo, per lui il sogno WSOP si è interrotto poco dopo lo scoppio della bolla: K9 contro KQ e tanti saluti al Big 50.

Ecco, se devo trovare una nota stonata ad una giornata altrimenti meravigliosa è proprio il fatto che dopodomani, quando tornerò al tavolo, tra gli altri 1.596 player (i superstiti dei quattro Day 2) non ci sarà la persona con cui sto condividendo questa pazzesca avventura.

GG amico mio: sono sicuro che, presto o tardi, arriverà il tuo momento anche nel poker live.

[Fine seconda parte]
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