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Gioco, fumo e alcol: perché i vizi non sono tutti uguali

“Bello quel maglione di cachemire, ma non capisco perché tu lo debba lavare a mano e a max 30°. Secondo me andrebbe messo in lavatrice a 60°, come tutti gli altri maglioni”. Questa ipotetica osservazione vi sembrerà completamente senza senso, e in effetti lo è. Però mi aiuta a farvi capire come mi sento ogni volta che leggo qualcuno dire “Eh ma se è vietata la pubblicità sul fumo, perché non dovrebbe esserlo quella sul gioco?”

La gestione dei “vizi”

Partiamo subito da un assunto fondamentale, ovvio ma da ribadire. Il gioco non è tra le priorità dell’umanità e rientra tra quelli che vengono volgarmente chiamati “vizi”. Un termine che tradisce già una condanna morale, nel nostro retroterra linguistico, ma che è globalmente corretto. Ci viene in aiuto il dizionario Treccani:

Abitudine profondamente radicata che determina nell’individuo un desiderio quasi morboso di cosa che è o può essere nociva

ma anche

Abitudine non buona, difetto fastidioso ma non grave

e infine

Voglia, capriccio

Decidete voi in quale delle tre accezioni possa rientrare il vostro vizio di riferimento. O i vostri, se siete degli inguaribili edonisti.

I vizi (degli altri) e la morale

E’ opinione diffusa, ma anche prassi, che i “vizi” vadano tassati in maniera importante, in quanto non si tratta di servizi fondamentali alla persona. Vero, ma ciò non rende affermazioni come “fosse per me farei pagare le sigarette 50€ al pacchetto, così vedi se uno non se lo toglie, il vizio” delle illuminate teorie economiche. Sono e rimangono fesserie, bullshit, con tutto ciò che si portano dietro. Uno spin-off di tale profondissimo pensiero è rappresentato da ciò che si sente chiedere in questi giorni, in materia di gioco. Più o meno lo riassumo così: “essendo il gioco un vizio come il fumo, vietarne la pubblicità è cosa buona e giusta”. Visto che oggi le notizie dalle WSOP di Las Vegas latitano, ho deciso che passerò le prossime righe a confutare questa sesquipedale stronzata.

I mercati dei vizi, i punti di sofferenza e gli interessi dello stato

Anche senza avere un master in microeconomia, è noto che ogni settore mercelogico segue le sue leggi peculiari. Per tornare all’esempio del “farei pagare 50€ ogni pacchetto di sigarette per far passare il vizio alla gente”, la logica conseguenza di ciò sarebbe l’immediato boom del mercato nero. Ovviamente a ciò non si arriverà mai, poiché allo stato interessa diminuire sì il numero di fumatori, ma anche mantenere il livello del gettito proveniente dal settore.

Nell’analizzare le ragioni per cui il gioco non può venire trattato con lo stesso metodo del tabagismo, dal punto di vista di pubblicità e tassazione, vanno presi in considerazione alcuni elementi.

Una delle tante campagne contro il fumo

Fumo e gioco: le differenze abissali

Partiamo dal più elementare: il costo di produzione. La sigaretta è un bene materiale, il gioco è l’erogazione di un intrattenimento.

Il costo di produzione di un pacchetto di sigarette non supera mai il 2% del costo finale del prodotto. Il resto è costituito da accise (oltre il 50% del prezzo finale), Iva e margini di guadagno per produttori e distributori.

Ogni volta che i governi intervengono elevando le accise, queste provocano ovviamente un aumento del prezzo al dettaglio. Va da sé che, per le ragioni accennate prima, ogni aumento viene modulato per non discostarsi troppo da indicatori come inflazione e potere d’acquisto. Nel malaugurato caso succedesse un aumento sconsiderato, in casa di ogni contrabbandiere che si rispetti si brinderebbe fragorosamente.

Il gioco e la doppia valenza del denaro: costo + controvalore

Il gioco invece è diverso. Non c’è un controvalore materiale come la sigaretta. Il controvalore è rappresentato dal denaro stesso, sotto forma di possibile vincita. Un bookmaker, ottemperati i doveri con l’erario e lo stato concessionario, deve essere messo in grado di offrire un prodotto appetibile per il cliente e che lasci un aggio (margine di guadagno) allo stesso operatore. Se la tassazione supera una certa soglia il giocattolino si rompe, il business diventa insostenibile e si abbassano le serrande.

Obiezione dell’ipotetico lettore: “E chi se ne frega? Si può vivere anche senza gioco”. Vero, ma ciò che vale per te, amico mio, non vale per tutti i tuoi simili. Si può anche decidere di mettere fuorilegge un intero settore, ma il risultato non sarebbe quello che ti aspetti: la gente non smetterebbe certo di giocare, smetterebbe solo di farlo legalmente. Smetterebbe di farlo portando soldi allo stato.

Vizi e pubblicità

Questa è la prima e principale differenza, tecnicamente parlando, tra il mercato del tabacco e quello del gioco d’azzardo. Andiamo ora al cuore del problema: la pubblicità.

In Italia il primo divieto di pubblicità diretta ai prodotti derivanti dal tabacco è datato addirittura 1962. Già allora, infatti, si era in possesso di dati scientifici che dimostravano i danni che il fumo da tabacco arreca alla salute. Oggi queste conoscenze scientifiche sono moltiplicate, confermando che la decisione di vietare la pubblicità sul fumo sia stata cosa buona e giusta.

Una possibile réclame sul gioco responsabile

Gioco e patologie

Le evidenze scientifiche della correlazione tra gioco e gioco patologico sono invece molto meno nette. Anche qui le differenze tra il mercato del fumo e del gioco sono notevoli. Nel tabagismo c’è ormai – purtroppo – una copiosissima letteratura scientifica che documenta la relazione tra cancro o patologie cardiovascolari e fumo, con relative percentuali. Nel gioco invece siamo quasi sempre sul piano delle stime, seppure autorevoli.

L’ultimo studio del CNR (2017) parla di 17 milioni di italiani che hanno tentato la fortuna almeno una volta, stimando in 400mila il numero dei possibili giocatori patologici. Gli ultimi dati di cui siamo a conoscenza parlano però di 12.300 persone prese in cura in un anno per GAP (Gioco d’Azzardo Patologico, dato 2014).

Tuttavia, proprio perché stiamo parlando di persone e non di numeri, bisognerebbe approfondire. Bisogna capire quali sono le discipline più a rischio di creare dipendenza o comportamenti compulsivi, e quali i canali più diffusi ed eventualmente pericolosi.

Gli effetti del ban della pubblicità sulla gente

Sempre osservando il rapporto 2017 del CNR di Pisa, dal titolo “Consumi d’azzardo”, si evincono tendenze piuttosto chiare che vanno messe in evidenza.

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Come si può osservare, il peso del gioco online (già basso di per sè) è rimasto sostanzialmente invariato nel corso degli ultimi 8 anni, con una crescita decisa solo di quello da smartphone. La combo “internet + smartphone” contribuisce comunque per appena il 14%, nelle abitudini di gioco degli italiani. Da notare come, invece, sia ancora largamente diffusa l’abitudine a giocare presso bar e ricevitorie.

In considerazione di questi e altri dati (qui il rapporto completo del CNR, a disposizione di tutti), chi tutelerebbe il divieto di pubblicità in TV e online? E chi avvantaggerebbe?

Vale la pena pensare anche alla situazione del sud, dove la diffusione di operatori illegali sul territorio è marcatamente più alta. Il divieto di pubblicità per le aziende che operano in piena legalità sarebbe un ulteriore assist a questi operatori, già avvantaggiati dal fatto di non dover versare un centesimo nelle casse dello stato.

Pubblicità e distribuzione

Ecco, qui c’è un’altra macroscopica differenza tra fumo e gioco. Anche senza pubblicità il fumatore beneficia di una distribuzione capillare del prodotto. Le oltre 58mila “T” presenti sul territorio permettono al fumatore un approvvigionamento continuo. Invece nel gioco l’assenza di pubblicità renderebbe molto più difficile, per il giocatore, cogliere la differenza tra l’offerta legale e quella illegale, ovvero senza alcuna tutela.

Abuso e percentuali

Il rapporto del CNR lo dice a chiare lettere: per il 76,5% dei praticanti il gioco è un’esperienza di intrattenimento SENZA ALCUN RISCHIO di deriva patologica. Il 15,9% dei giocatori è catalogato come a “rischio minimo”, il 5,9% a “rischio moderato” e il già citato 2.4% a forte rischio dipendenza. Sono numeri che raccontano della netta differenza tra uso e abuso. Una differenza che va rispettata, come avviene ad esempio con l’alcol.

E l’alcol?

Secondo gli ultimi dati, l’alcolismo rappresenta la terza maggiore causa di mortalità e disabilità in Europa. Eppure la pubblicità di alcolici è consentita nel nostro paese, aggiungerei COME È GIUSTO CHE SIA. La possibilità di un abuso non può e non deve in alcun modo ledere chi di un certo prodotto fa un uso corretto ed equilibrato. L’enologia rappresenta un’eccellenza italiana e ciò non ha nulla a che vedere con le centinaia di poveri senzatetto che ogni anno muoiono per cirrosi epatica, anche a causa del vinaccio in brick che usano consumare, per difendersi in qualche modo dal freddo.

E per quale ragione, inoltre, l’esistenza di quattro teppistelli che si gonfiano di birra prendendosi poi a bottigliate dovrebbe impedire a un importante marchio del settore di sponsorizzare la Serie A o la Champions League?

Il ragioniere invitava forse i giovani all’alcolismo molesto?

Vizi e costo sociale

In conclusione, ciò che dovrebbe fare uno stato liberale e non teocratico, è mantenere un equilibrio tra le libertà dell’individuo e i costi sociali dei suoi comportamenti più a rischio. Nel caso del fumo è evidente che i costi sanitari delle sue conseguenze sulla salute sono drammaticamente alti. C’è inoltre il problema del fumo passivo, che è a sua volta causa dimostrata di una ulteriore casistica di patologie. Questa ultima caratteristica è del tutto assente dagli altri due vizi di cui ci siamo occupati. Non esiste l’alcol passivo, nè il gioco passivo.

Uso e abuso: parliamone seriamente

Inoltre, sia nel consumo di alcol che in quello di gioco c’è una ampia forbice di “modica quantità”. Abbiamo visto i numeri del CNR raccontarci che almeno 4 giocatori su 5 lo fanno per puro svago, senza alcun rischio di dipendenza. Non ho sotto mano i numeri del consumo di alcol, ma la percentuale di uso “innocuo” non dovrebbe discostarsi di molto.

Ciò che bisognerebbe fare, nel caso del nostro settore, è un preciso studio sul gioco compulsivo e sulle discipline che lo inducono più facilmente. Quindi agire su quelle, eventualmente limitandole anche in maniera drastica. Emettere divieti solo per far finta di mantenere una promessa elettorale, invece, non porta da nessuna parte.

 

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"Assopoker l'ho visto nascere, anzi in qualche modo ne sono stato l'ostetrico. Dopo tanti anni sono ancora qui, a scrivere di giochi di carte e di qualsiasi cosa abbia a che fare con una palla rotolante".
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