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Poker e la matematica dello staking

Diventata ormai una pratica molto diffusa nella community del poker, lo staking permette al giocatore di trovare risorse economiche per affrontare partite più costose ed al finanziatore d’investire una frazione della propria liquidità su qualcuno che ritiene possa avere le necessarie abilità per risultare vincente anche a livelli più alti dei suoi soliti.

Quest’oggi vi proponiamo allora la traduzione di un interessante articolo sull’argomento scritto da Sam “RYouSerious” Ganzfried, giocatore e Dottore di Ricerca in informatica alla famosa Carnegie Mellon University della Pennsylvania.

“Spesso, nel poker, capita che alcuni giocatori ritengano di avere buone chance di risultare vincenti in partite per cui non hanno denaro sufficiente per partecipare. Ad esempio, un buon specialista negli mtt online, che di solito grinda tornei con buy-in medio-alto, potrebbe avere un EV atteso decisamente positivo al Main Event delle World Series of Poker, che in genere presenta un field con molti giocatori inesperti. Tuttavia, il buy-in da 10.000 dollari può ovviamente risultare proibitivo per coloro che praticano un ferreo bankroll management.

Ecco allora che per partecipare ugualmente a manifestazioni del genere, taluni giocatori chiedono di essere stakati, ossia che qualcuno con più denaro a disposizione finanzi per una certa percentuale il costo del loro ticket d’ingresso. Nei tornei, lo staking segue un percorso decisamente lineare: il finanziatore fornisce una frazione p dell’entry fee ed ottiene in cambio una parte q del payout dello stakato (normalmente p=q, ma a seconda dell’abilità dello stakato o dei termini dell’accordo, p può essere uguale a 1,1q o altro).

Per semplicità, utilizziamo un modello che preveda un torneo random dove il giocatore abbia una probabilità di vittoria pari ad x e una di sconfitta di 1-x. Se p=q e lo stakato finisse breakeven nel torneo (dopo il rake), il profitto dello staker sarebbe pari a [0.5*0 + 0.5*p*(2T)] – pT = 0 (dove T è l’entry fee), per cui egli si aspetta di chiudere in pari in questo specifico caso e di ottenere un guadagno se lo stakato è EV+.

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Per il cash game lo staking diventa più complicato. Non c’è un singolo evento per cui lo staker sta pagando, ed i profitti dello stakato fluttueranno nel tempo. Consideriamo il seguente semplice modello: supponiamo che lo staker dia ad un giocatore un ammontare x di denaro e diciamo anche che ad intervalli di tempo egli si giochi un colpo in cui vince 1 con una probabilità di p e perde 1 con la probabilità di 1-p. Ipotizziamo che ripeta la stessa operazioni per n numero di volte. Alla fine di tutti gli step, se lo stakato ha meno denaro di quanto ricevuto, lo restituirà allo staker che registrerà una perdita; se lo stakato ha più denaro di quanto ricevuto, darà ½ dei profitti al finanziatore e tratterà il resto per se stesso.

A prima vista, questo tipo di accordo appare decisamente sconveniente per lo staker: se il giocatore perde x lui farà altrettanto mentre se lo stakato vince x allora ne riceverà la metà dei profitti. Chiaramente, se lo stakato chiude in breakeven dopo il rake, l’operazione risulterà ad EV negativo per il finanziatore (a differenza di quanto accade nei tornei). Pertanto la domanda è: quanto profittevole deve essere lo stakato affinche l’accordo porti un guadagno allo staker?

Incuriosito da questo interrogativo, ho affettuato alcune simulazione per trovare una risposta. Usando n=200, esce fuori che lo stakato ha bisogno di vincere con probabilità compresa fra lo 0,509 e lo 0,51 affinchè l’accordo produca un guadagno per lo staker. Per cui ritengo che se il rapporto di staking fra i due prevede un tempo di durata abbastanza lungo, lo stakato dovrà soltanto risultare leggermente vincente affinchè l’accordo risulti vantaggioso per lo staker.”

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