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Phil Galfond: “Giocare a poker non significa diventare robot”

Phil Galfond, come al solito mai banalePhil Galfond, nell’ultimo intervento del proprio blog, ci regala una riflessione sul rapporto che un giocatore di poker ha tra il proprio pensiero razionale e le sue emozioni, svelando quella che è la sua filosofia per rapportarvisi in maniera ottimale.

“Molte emozioni possono influenzare il modo in cui giochiamo. Ci si attende che come giocatori le si reprimano, che sia necessario imparare a diventare una sorta di robot, capaci di compiere decisioni basate esclusivamente sulla matematica e la logica. Dopo un po’ di tempo mi sono reso conto di quanto questo fosse l’approccio sbagliato”.

Phil argomenta meglio, partendo dalla sua esperienza: “Credo di essere una delle persone più abili che conosca nel separare la logica dalle emozioni, posso davvero trasformarmi in un automa, eppure per quanto ci si possa convincere del contrario non siamo immuni alle sensazioni in quanto esseri umani”.

Per Galfond allora l’idea è semplice: anziché trattare la propria emotività come un pericolo od un nuovo avversario da battere, considerarla piuttosto come un ulteriore fattore, un elemento di sé con cui fare i conti nel prendere decisioni migliori.

“Ammettiamo che giochiate Pot Limit Omaha su varie poker room, e che siate vincenti su tutte tranne che su una, dove pure avete un sample size importante. Assumendo che il field sia lo stesso e che il vostro stile di gioco non sia cambiato, potrete razionalmente ripetere a voi stessi che si tratti di semplice varianza, ma anche in questo caso la vostra run su quel sito non potrà che influenzare il vostro gioco”.

Questo per Phil crea un circolo vizioso, che allontana dal giocare il miglior poker possibile: “Vi sentirete più inclini a prendere cattive decisioni, sarete più intimoriti nel compiere certe giocate in piatti consistenti, o avrete paura di subire delle bad beat”.

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Patrik Antonius, droide del poker per antonomasiaPer lo statunitense non bisogna quindi ingannarsi: tutto questo in qualche modo incide su di sé, anche quando ci si ritiene dei buoni giocatori immuni a tutto questo.

“Ammettiamo che voi siate un giocatore di cash game high stakes, per esempio Phil Galfond, e assumiamo che c’è un giocatore, immaginiamo Phil Ivey – continua – contro cui negli anni avete perso più del doppio rispetto a chiunque altro. Sembra che ogni volta che avete una buona mano lui ne abbia una migliore, o che ogni volta che tentate un bluff lui lo sappia. Anche se sentite di avere le capacità per competere contro di lui, ammettiamo che nel tempo i fatti vi dimostrino il contrario. Cosa potete fare, a parte evitare di giocare contro di lui? Dovete ammettere a voi stessi come vi sentite, altrimenti sarete esitanti, insicuri, e vi ritroverete a giocare uno stile straightforward contro il quale non potrà che vincere facilmente”.

L’onestà emotiva con se stessi è insomma per Phil Galfond un passo essenziale per migliorarsi come giocatori: “Quando ammettete l’influenza delle vostre emozioni, allora potete appellarvi alla logica per compiere la decisione migliore. Se invece volete convincervi del fatto che siete privi di emozioni o che queste non vi influenzino, gli lascerete corrompere i vostri ragionamenti senza neppure accorgervene”.

Un’insidia non semplice da sconfiggere, insomma, ma da cui una volta consapevoli della sua esistenza è certamente possibile guardarsi.

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