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È ancora la Germania la nazione coi giocatori più forti? Noi indietro senza liquidità condivisa

Non esistono parametri per stabilire quale possa essere la nazione dalla quale arrivano i giocatori mediamente più forti. L’Italia paga lo scotto di non poter giocare con avversari non solamente italiani a causa dell’esclusione dalla liquidità condivisa

Il vincitore del Main Event WSOP Ensan, tedesco

La competizione

Da che mondo è mondo, i giocatori di poker più forti del pianeta, una volta raggiunta una solidità economica che permette loro di non preoccuparsi di giocare esclusivamente per i soldi, hanno un’altra preoccupazione: quella di diventare più forti degli altri. 

Questa specie di corsa all’oro, che, badate bene, non fa distinzione tra live e online, fa parte di quella caratteristica insita, in maniera più o meno marcata, nell’animo e nel modus operandi di ciascuno di noi ed è soggetta alla competizione. 

La voglia di superarsi l’un l’altro anche in una disciplina dove nel breve periodo la fortuna ha un’incidenza piuttosto alta, sfocia spesso in diatribe di poco conto, magari originate da una mano giocata in modo troppo fantasioso, oppure da piccole scaramucce che lasciano il tempo che trovano. 

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Negli anni passati, per amore di verità, molto più che nei tempi attuali, alcune di queste schermaglie dialettiche prendevano piede a seconda della provenienza del giocatore. 

Il parametro che non c’è

In tanti hanno provato ad assegnare una scala gerarchica facente capo alle skill dei giocatori di ogni paese, ma la verità è che non esiste un parametro oggettivo per misurare la cosa.

Agli albori del nuovo millennio era l’estremo nord Europa a fare da spauracchio. Alzi la mano chi non si ricorda che i precursori del gioco iper aggressivo che conosciamo oggi, battessero bandiera danese, norvegese, finlandese e svedese. 

Gus Hansen incarna questa cordata amarcord, capofila di un movimento che tra il 2000 e il 2008 veniva considerato il più attrezzato per competere contro il gioco tradizionale e poco fantasioso dei colleghi statunitensi.

Qualcuno, più avanti nel tempo, ha pensato di organizzare dei campionati del mondo di Poker per nazioni, l’Italia ad esempio vinse la Global Poker Master nel 2015 con Kanit, Sammartino, Bendinelli, Dato e Palumbo, ma di certo questo non basta. 

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Negli ultimi 8 o 9 anni, poco dopo il solco lasciato dall’effetto Moneymaker che ha definitivamente sdoganato il poker moderno anche nel Vecchio Continente, ha preso prepotentemente piede la convinzione che la Germania sia attrezzata meglio delle cugine Francia, Inghilterra, Italia e Spagna.

Quando vincemmo i mondiali

Oggi come oggi l’Italia fa caso a sé, nel senso che in campo internazionale presentiamo alcune punte di diamante che hanno la capacità di poter competere ai massimi livelli, con torneisti del calibro di Dario Sammartino, Mustapha Kanit e Gianluca Speranza, universalmente riconosciuti come tre dei giocatori più preparati al mondo. 

Quello che non porta buone nuove è il movimento nazionale nella sua interezza, siamo decisamente indietro rispetto ad alcune delle nazioni sopra citate, a causa, soprattutto, dell’impossibilità di confrontarci con altre nazioni. 

La lingua batte dove il dente duole, certo, ma non ci stancheremo mai di ripeterlo: è sempre l’apertura alla liquidità condivisa l’aspetto che ci farebbe fare il salto di qualità.

Qualcuno potrà obiettare che si potrebbero fare le somme dei tornei vinti dai rappresentanti di ogni nazione, ma ci sono problemi di carattere “logistico” che non lo permetterebbero.

La liquidità condivisa, un’esclusione che ci penalizza

Intanto con tutte le migrazione per questioni fiscali ci sarebbero da fare i primi distinguo tra residenza e Paese di nascita e poi la quantità dei giocatori di una medesima nazione dipende dal numero stesso degli abitanti, impossibile fare un raffronto, ad esempio, tra Portogallo e Germania.

Non c’è che aspettare risposte positive che tardano ad arrivare. Noi non ci arrendiamo.

"C'è chi pensa che sia impossibile prendere parte a tutti i tavoli finali dei tornei a cui si partecipa. Questo è vero per tutti. Tranne per chi li racconta".
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