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Da Moneymaker a Fedor Holz: gli high roller spartiacque fra il poker di ieri e quello di oggi

Che piaccia o meno, Phil Hellmuth dà sempre spunti di discussione

La recente intervista di Phil Hellmuth con Joey Ingram ha riportato d’attualità un tema cruciale del poker, e di questo va sicuramente dato merito a “the poker brat”: il rapporto del gioco con il denaro.

Senza perdere tempo a schierarsi fra haters o lovers del 52enne pluricampione del mondo, Phil solleva alcuni interrogativi che meritano quantomeno una riflessione.

High Roller: spartiacque fra il poker di ieri e quello di oggi

La sua orgogliosa – e persino ostentata – ritrosia a giocare gli eventi high roller ha sicuramente delle valide ragioni. Se però quella che rivendica la voglia di mantenere uno stile di vita invidiabile per il 99% di chi legge è inoppugnabile, l’argomento sul giocare al 15 o 20% da parte della stragrande maggioranza degli high rollers non è solo un sassolino che Phil voleva togliersi dalla scarpa, ma una vera e propria linea di demarcazione: quella tra il poker che era e quello che è, a tutti i livelli.

In passato avevo già avuto modo di sostenere che il poker ha iniziato a perdere un po’ del suo fascino originario proprio con la comparsa degli high roller. Per dirla in termini più spicci, una volta i circuiti di poker funzionavano in maniera molto semplice e diretta: il vincitore dell’evento principale era anche colui che ha guadagnato più soldi.

Da Moneymaker a Esfandiari: come cambia la narrazione

Se nel 2003 ci fosse stato il Big One For One Drop o il Super High Roller Bowl, l’impresa di Chris Moneymaker avrebbe avuto la stessa risonanza mediatica? Forse, ma forse no. La narrazione di un contabile che sbanca l’olimpo del poker diventando milionario con una spesa di 37$ avrebbe avuto sempre una grande forza, ma se in quelle WSOP ci fosse stato un giocatore tal dei tali capace di vincere – che ne so – 8 milioni a un SHR, i 2,5 milioni vinti da Moneymaker avrebbero avuto un potere deflagrante senza dubbio ridotto.

Antonio Esfandiari abbraccia i 18 milioni vinti al WSOP Big One For One Drop. Qualcuno ricorda chi vinse il Main quell’anno?

Ho fatto ricorso a un esempio iperbolico, ok, ma il punto chiave è la distruzione di quella naturale epica pokeristica che permetteva una semplice equazione: il giocatore copertina è quello che ha vinto il torneo principale e incassato più soldi di tutti.

Se provassimo a tornare con la mente all’EPT di Praga 2008, a nessuno che ne abbia memoria verrebbe in mente qualcuno di diverso da Salvatore Bonavena. La favola di Sasà era qualcosa di unico, e i 776.000€ incassati ne fecero il top winner della manifestazione, completata allora da un pugno di side events.

Un urlo di quelli che non si dimenticano

Andiamo adesso a sfogliare l’album dell’EPT Grand Final 2016. Scommetterei il mio esiguo bankroll che tutti scegliereste come copertina l’epico duello tra Ole Schemion e Mustapha Kanit nel 100k SHR, con entrambi che portarono a casa un premio milionario. Qualcuno ricorda chi vinse il Main Event? Ah sì, l’ottimo Jan Bendik….Chiiiii?

Ecco, adesso ripensate alle WSOP 2012: vi viene in mente la faccia di Greg Merson che piange dopo aver vinto il Main Event, o quella di Antonio Esfandiari abbracciato alla montagna di dollari dopo aver vinto il primo Big One For One Drop della storia?

Lo ammetto, ho scelto esempi in cui il mio ragionamento ha gioco facile, ma era solo per evidenziare un aspetto cruciale: l’avvento degli high roller ha tolto centralità – e quella specie di “magia” – ai main event.

Braccialetti vinti: l’unico (e fallace) criterio possibile?

Tornando a Phil Hellmuth, va certamente tenuto in considerazione il fatto che la sua è una difesa d’ufficio, di una posizione guadagnata negli anni e messa in discussione da criteri che non condivide. Ok, ma non per questo il criterio dei braccialetti vinti deve assumere un valore superiore a quello che ha nella realtà. Su una cosa Phil ha senz’altro ragione: una delle certezze acclarate nei tornei di poker è che chi finisce per detenere tutte le fiches va proclamato vincitore.

14 braccialetti in 28 anni: non può essere solo run, ma basta per essere intoccabili?

Come giunga a questo risultato è prodotto di una complessa serie di variabili, alcune delle quali del tutto arbitrarie e che portano dritte al classico vicolo cieco dei dibattiti pokeristici: essendo il poker un gioco di lungo periodo che trova una simulazione attendibile online, quanto deve essere lungo questo “lungo periodo” per rendere attendibile anche la valutazione di un giocatore live?

I calendari e la modernizzazione del “live grinding”

Questo nodo irrisolto, fonte di infinite discussioni, litigi e flame, ci porta a considerare un altro aspetto che differisce il poker di oggi da quello di ieri, e che ha via via mutato il mondo dei tornei live. Il moltiplicarsi degli eventi proposti è da considerarsi una modernizzazione obbligata, nei festival di poker live, dalle WSOP agli ex EPT, oggi PSC. Chi decide di affrontare una trasferta, ha oggi molte più possibilità di abbattere le spese rispetto a quanto accadeva un tempo. Ha anche molte più possibilità di fare un passivo più pesante, ma questo è un aspetto che riguarda il bankroll e al momento non ci interessa.

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Ci interessa invece una parte delle considerazioni di Phil Hellmuth, quella che riguarda un’ abitudine assunta nel tempo dai giocatori professionisti: vendere, comprare e scambiare quote.

In un approccio professionistico come quello che adottano i top grinder, l’imperativo categorico diventa quello di abbattere la varianza. A tale scopo si va ai live per schierarsi nel maggior numero di eventi possibile, ma non solo: la compravendita di quote è diventata funzionale alla sostenibilità del “live grinding”.

Mustapha Kanit e Bryn Kenney: top player e grandi amici che spesso si scambiano quote

Quote, staking e sostenibilità

Funziona più o meno così: se io ritengo che tu abbia un certo edge o una certa aspettativa di vincita in un determinato torneo, mi offro di comprare una quota in modo da partecipare dell’eventuale profitto che potresti ottenere. Va da sè che, tra giocatori che si stimano, diventa una consuetudine non solo vendere e comprare ma soprattutto scambiare quote. In tal modo ci si dota di un certo numero di “paracadute”, qualora il nostro torneo non andasse come previsto.

Alla fine, quello di giocare stakati o di vendere una certa percentuale di quote è pratica in uso da molti anni, e lo stesso Hellmuth confessa di aver giocato a volte al 60%. Ciò che accade ai Super High Roller è però una violenta estremizzazione di tale fenomeno.

Giocare al 20%: paracadute o illusione?

Ciò che ha rivelato Hellmuth non è certo un segreto, perchè è noto da tempo che i super top player giocano i super high roller partecipando a volte a non più del 15 o 20% del buy-in. Parliamo di fenomeni assoluti come Fedor Holz, Ole Schemion, Bryn Kenney, i nostri Sammartino e Kanit (dei quali non conosciamo le percentuali alle quali giocano, ma sappiamo che prendono e scambiano quote con diversi colleghi top player)

Questo giocare un torneo da 200.000€ spendendo “appena” 30.000€ (virgolette d’obbligo) viene generalmente motivato dagli stessi protagonisti con ragioni come

  • esiguità del field
  • facilità del field
  • possibilità di fare un profit importante nel breve periodo
  • immagine
Fedor Holz: oltre 21 milioni di dollari vinti in tornei live, secondo Hendon Mob. Impossibile sapere quanti siano realmente, al netto delle quote. E dei buy-in, ovviamente.

Sul primo aspetto nulla da dire, perchè difficilmente un torneo da 2 o 300k totalizza più di una trentina di partecipanti. Gli altri criteri, in particolare quello della facilità dei field, sono invece argomenti molto più arbitrari, che riesce più difficile da dare per buoni guardando gli schieramenti medi di questi tornei. Giocare un SHR al 15% con il 30% del field composto da ricchi amatori o giocatori tecnicamente inferiori è un conto, ma se su 30 iscritti troviamo 28 super pro e due amatori, dove si va a prendere tutta questa EV?

E’ superfluo dire che la mia è una domanda da ultra-profano di certe dinamiche ed equilibri su cui si fonda l’attuale panorama dei tornei live high stakes, che mi sono totalmente aliene. Certo è immaginabile che si tratti di pratiche che alleggeriscono i periodi di bad run, ripartendo investimenti e rischi in una modalità meno impattante.

Vivere in una bolla per non patire la bolla?

Da una parte si ha la sensazione che gli high rollers si siano come costruiti una bolla, in cui vivono e comprendono solo loro. Poi però penso a quando eravamo ragazzi, alle prime partite a poker, in cui l’unico set di fiches che avevamo a disposizione riportava cifre altissime, fuori dalla portata degli spiccioli che ci giocavamo. Così decidevamo di far finta che uno o due zeri non esistessero, e ci si divertiva come se nulla fosse.
Forse sì, alla fine i top player si divertono così tanto perchè hanno trovato un modo per tornare bambini.

"Assopoker l'ho visto nascere, anzi in qualche modo ne sono stato l'ostetrico. Dopo tanti anni sono ancora qui, a scrivere di giochi di carte e di qualsiasi cosa abbia a che fare con una palla rotolante".
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