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check-raise

Quando la GTO dà ragione ai padri fondatori. Il caso del Check to the Raiser

Per l’apertura di questa sonnecchiosa giornata di primavera, ho pensato di proporre un articolo scritto da Lee Jones sul suo sito, Leejones.com., nel quale, appena un paio di anni fa, esaminava il concetto di “Check to the raiser”, analizzandolo però in chiave più ampia, dando respiro a tutte quelle idee che partono da un concetto corretto ma che si rivelano sbagliate, per poi essere sostituite da idee buone e infine da idee migliori che tornano a quelle iniziali con tutte le modifiche del caso.

Il gregge

Nel pezzo, quello straordinario comunicatore che risponde a Lee Jones, comincia a fare una piccola cronistoria su ciò che il poker è diventato da qualche decennio a questa parte.

All’inizio della sua lunga storia, parliamo di quella che non aveva ancora interessato la nostra nazione, per cui dobbiamo tornare indietro sorpassando a ritroso la soglia del nuovo millennio, il poker veniva identificato come quella disciplina in cui le mosse da effettuare erano semplicemente quelle che facevano i migliori giocatori e tutti, come un gregge, le seguivano a menadito come fosse una Bibbia.

L’approccio al motto di “se lo fanno tutti, vuol dire che è giusto così“, è stato clamorosamente smentito da quel galantuomo che è il tempo.

Soprattutto in anni come questi, dove l’evoluzione del gioco mette in mostra tramite i più disparati canali, il poker cambia alla velocità della luce e le dinamiche che lo governano non possono rimanere stanziali.

Il check to the raiser

Una delle dinamiche alle quali abbiamo appena accennato, è quella della pratica del “check to the raiser”, una forma praticamente insostituibile alla quale i giocatori, ovviamente live con la dichiarazione verbale, poi trasbordata con iniziali successi durante i primi passi del poker online.

Il check to the raiser consiste nell’azione in virtù della quale un giocatore apre la mano, uno fuori posizione dai Bui chiama e la frase che ne consegue è stata per decenni “check to the raiser”, che in italiano non è molto differente dalla cara e vecchia “parola all’apertura”.

Già i primi profeti del poker degli anni 80 e 90, catalogavano questa action come un errore, tra di loro David Sklansky: “resisti all’impulso di fare check a ti rilancia, solo perché lo fanno tutti”.

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Ed è lo stesso Jones a scrivere quanto segue: “come in ogni campo accademico, le cattive idee del poker vengono sostituite da buone idee, che alla fine vengono sostituite da idee migliori. Molte di queste idee migliori provengono da un campo di studio chiamato “teoria dei giochi”, lo studio matematico che dovrebbe portare a vincere a vari tipi di giochi. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che computer e software moderni hanno reso possibile determinare gli approcci al poker della “teoria dei giochi ottimale” (“GTO”). Anche un decennio fa, sarebbe stato impossibile calcolare tali strategie, ma ora sono disponibili per qualsiasi giocatore di poker con un computer abbastanza moderno. Il poker GTO è un argomento a sé stante e sono stati scritti interi libri al riguardo.”

Ma avevano ragione?

Tornando a questo concetto del check a chi rilancia, la teoria dei giochi ha, infatti, convalidato ciò che il gregge era propenso a fare per decenni. Mentre ci sono pochi assoluti nel poker, si scopre che di solito il giocatore che ha rilanciato (o puntato) ha probabilmente la mano migliore. In termini teorici, quel giocatore sta generalmente puntando un range “polarizzato”, che gli dà un vantaggio rispetto al giocatore che ha fatto check e call, da un range “compresso”.

Come check/calling, continua Lee Jones, dovresti essere incline ad abbandonare quel pas de deux solo se la carta sul board sposta drasticamente il potere nella tua direzione. Ad esempio, supponi di essere al big blind e di chiamare un rilancio preflop del giocatore under-the-gun (UTG). Il flop è K-7-4, fai check e chiami una puntata. Ora il turn è un altro sette. È molto più probabile che tu abbia un sette rispetto a chi ha rilanciato preflop, quindi questo potrebbe essere un buon momento per puntare (che tu abbia un sette o meno). Ma in assenza di tali modifiche, dovresti quasi sempre fare nuovamente check al turn, anche se la carta del turn era la tua carta gin e ti ha dato il nut. Quindi probabilmente è meglio fare un check-raise piuttosto che puntare.

L’esempio del check to the raiser profittevole

Un esempio importante di ciò è che raramente dovresti puntare (“donk bet”) in un rilancio preflop dopo aver chiamato fuori posizione prima del flop. Quindi nel caso di cui sopra (il giocatore UTG ha rilanciato e tu hai chiamato da big blind), checkare quasi il 100% delle volte al flop è corretto, sia che tu abbia intenzione di foldare, chiamare o fare check-raise. Non incoraggerei a fare check al buio (cioè prima che il flop venga messo fuori) perché questo dice al tuo avversario che la tua decisione di fare check non è basata sulle carte del board. Ma in pratica, questa è la giocata migliore.

Questo è un ottimo esempio di come puoi trarre vantaggio da una certa comprensione del poker teoricamente corretto, anche se non ti prendi il tempo e gli sforzi per diventare un esperto.

"C'è chi pensa che sia impossibile prendere parte a tutti i tavoli finali dei tornei a cui si partecipa. Questo è vero per tutti. Tranne per chi li racconta".
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