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Claudio Poggi Big 50 WSOP 2019

Un sogno chiamato WSOP, edizione speciale: il field del The Big 50 e come l’ho affrontato

Quando ho iniziato a scrivere il mio percorso al The Big 50 delle WSOP 2019, mai avrei pensato di suscitare così tanto interesse nei lettori di Assopoker: be’, non sono mai stato così felice di aver sbagliato previsione, e per questo ringrazio tutti per il calore che mi avete dimostrato. Per noi scribacchini instancabili, come amo definire me stesso e i miei colleghi di redazione, non c’è soddisfazione maggiore che l’apprezzamento di chi ci legge.

Molti di voi mi hanno contattato privatamente per chiedermi ulteriori curiosità, ma molte delle domande si sono concentrate sul field che ha caratterizzato il torneo e sui possibili approcci da adottare per affrontare un torneo così grande (oltre 28.000 entries) e al tempo stesso così lento.

Così ho deciso di scrivere questo articolo che, mi preme sottolinearlo, non ha alcuna velleità dal punto di vista educativo. Non sono un giocatore professionista e non mi permetto di dare consigli strategici: quelle che seguono sono puramente considerazioni personali e come tali vanno assorbite dal lettore.

 

 

Il punto di partenza: la struttura del Big 50

Nelle settimane precedenti al nostro viaggio a Las Vegas, insieme con l’amico T-Bird abbiamo passato un po’ di tempo ad analizzare la struttura del Big 50. Vi riporto le informazioni salienti:

  • Stack di partenza da 50.000 chip
  • Livelli dei bui da 50 minuti
  • Big Blind Ante sin dal 1° livello

E ora un’occhiata alla prima trentina di livelli, sufficienti ad arrivare a fine Day 3:

struttura big 50

Come potete vedere, si parte da 250x: uno stack enorme rispetto al primo livello dei bui, anche considerando il Big Blind Ante. Un altro aspetto da considerare è la relativa dolcezza di quella che potremmo definire curva di crescita dei bui. Il secondo livello ha addirittura lo stesso small blind, mentre il big blind sale soltanto da 200 a 300, per diventare poi 400 al terzo livello (con piccolo buio a 200). Questo significa che un giocatore che si fosse seduto all’alba del 4° livello, avrebbe avuto ancora a sua disposizione uno stack da 100x o giù di lì.

Continuando ad analizzare la crescita dei bui, il trend non cambia: dal 9° al 15° livello, quindi dopo cinque ore di gioco effettivo, il big blind è passato da 2.000 a 8.000, moltiplicandosi soltanto per 4.

Insomma, il Big 50 si è distinto per una giocabilità ben più che eccellente, considerato l’entità del costo di iscrizione: possiamo tranquillamente definire questo torneo delle WSOP come un evento low buy-in… che più low non si può.

La distribuzione del field

Ma veniamo a come è stato affrontato il Big 50 delle WSOP 2019 dal punto di vista dell’atteggiamento al tavolo, sia da parte mia sia da parte dei miei avversari.

Personalmente ho scelto un approccio tight-aggressive, principalmente perché non essendo un giocatore professionista, né comunque abituato a giocare tornei multitavolo, non mi sarei sentito a mio agio adottando un comportamento più aperto. Così ho scelto di giocare praticamente soltanto mani premium (o quasi) durante i primi livelli di gioco, aprendomi un pochino di più quando anche solo rubare i bui pre-flop cominciava a diventare allettante.

Molti dei miei avversari, invece, giocavano in maniera piuttosto loose. Tolto qualche player loose-aggressive, però, la maggior parte dei player erano loose-passive: come ci insegnano i libri di teoria del poker, l’approccio peggiore in assoluto.

Se dovessi suddividere in percentuale il field che mi sono trovato ad affrontare (in totale credo una sessantina di giocatori in 30 livelli), potrei approssimare in questo modo:

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  • Giocatori tight-aggressive: 25%
  • Giocatori tight-passive: 10%
  • Giocatori loose-aggressive: 25%
  • Giocatori loose-passive: 40%

A conti fatti, più o meno il 65% dei miei avversari giocava in modo loose e probabilmente è anche per questo motivo che il mio approccio tight-aggressive mi ha permesso di andare così avanti nel torneo: nonostante giocassi piuttosto chiuso, quando entravo in un piatto trovavo sempre qualche cliente disposto a concedermi una parte del suo stack.

Big 50 Milione
Magari l’anno prossimo, eh?

Approccio loose vs approccio tight

Quale preferire?

Di nuovo, non pretendo di insegnare a nessuno come si giochi a poker o come si affronti un torneo multitavolo come il Big 50 delle WSOP 2019: posso soltanto raccontarvi le mie sensazioni e spiegarvi come – nel mio piccolo – ho ragionato.

Credo che per adottare un approccio loose occorra avere tanta esperienza e tanta fiducia nelle proprie skill. Giocare molti piatti significa inevitabilmente farsi coinvolgere con mani mediamente più scarse rispetto a un player tight: questo vuol dire che il giocatore loose deve sopperire alle percentuali avverse con qualità strategiche superiori alla media, riuscendo a leggere alla perfezione gli avversari e a convincerli a foldare mani spesso migliori della sua.

E questo non era affatto il mio caso.

Inoltre, costruire uno stack imponente nei primi livelli di gioco non offre alcuna garanzia, né di successo né di arrivare a premio: la strada è talmente lunga che avere 1 milione di chip quando i bui sono 3.000/6.000/6.000 e in gioco ci sono ancora più di 20.000 player, o averne 200.000, sposta veramente poco. Certo, sempre meglio giocare con 1 milione, ma quel che conta è avere delle cartucce da sparare nelle fasi più calde del torneo, quando vincere o perdere un piatto significa accrescere o concedere una percentuale significativa del proprio stack.

Inoltre, siccome un giocatore loose tendenzialmente è portato a giocare molti piatti e a prendersi molti rischi, si espone ad una varianza che inevitabilmente lo colpirà – sia nel bene sia nel male – molto più di quanto colpisce un giocatore tight.

Loose o tight, l’importante è essere se stessi!

Vorrei concludere sottolineando come per me sia venuto naturale giocare in maniera tight-aggressive, perché è il modo con cui tendenzialmente affronto non solo i tornei di poker, ma la vita stessa.

Credo sia difficile discostarsi molto dal proprio essere: se una persona è più votata al rischio nella quotidianità, molto probabilmente lo sarà anche giocando a poker; viceversa, chi non ama azzardare troppo lontano dal tavolo, farà altrettanto carte in mano.

Penso che l’importante, per noi giocatori amatoriali senza aspirazioni professionistiche, sia essere se stessi e giocare con in testa un solo obiettivo: divertirsi.

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