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Isaac Haxton: “La testa e l’ego hanno impedito a molti di avere successo”

[imagebanner gruppo=pokerstars] A dimostrazione che il talento nel poker non sia tutto, Isaac Haxton ha recentemente parlato di due aspetti che a suo avviso hanno impedito a molti professionisti non di raggiungere il successo ma di conservarlo nel tempo: in poche parole, la mancanza di “testa”.

Intervistato infatti da Elliot Roe, lo statunitense ha affermato: “Nel corso della carriera ho visto un sacco di gente andare e venire, questo perché il loro approccio mentale al gioco non era ottimale“.

Questo si può tradurre in comportamenti specifici differenti, ma alla fine il risultato era sempre lo stesso: “Magari perché tiltavano, o dilapidavano i soldi o erano incapaci di mettere assieme quel volume di mani costante che invece è necessario – ha proseguito Haxton – tutto questo ha influito sulla loro capacità di avere successo come professionisti, almeno nel lungo periodo”.

E come se questo non bastasse, c’è un’altra insidia da cui i poker player devono guardarsi: quella del proprio ego, la cui forza è indispensabile da un lato ma può diventare un’arma a doppio taglio dall’altro.

Spiega infatti Haxton: “Avere un ego troppo spiccato può portare ad interferire con la propria capacità di apprendere, a disinteressarsi del parere di altri giocatori o addirittura a non analizzare criticamente le proprie giocate. Inconsapevolmente, è come se avessero paura di imbattersi in delle prove che dimostrino quanto in realtà non siano poi così forti come invece credono di essere“.

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2013 World Series of Poker
“L’anno scorso ho saltato gran parte delle WSOP per giocare online, ma me ne sono pentito perché non c’era nessuno…” (courtesy PokerNews.com)

 Da questo punto di vista, Isaac afferma che il suo passato da giocatore di scacchi e di Magic lo abbia aiutato, in quanto gli ha consegnato una sorta di metodo analitico, un approccio attraverso il quale studiare un gioco, cosa che fa assiduamente ancora oggi.

“Giocando cash game high stakes la disponibilità delle partite è molto variabile – sottolinea – ci sono settimane che dedico quasi esclusivamente al gioco, ed altre dove ai tavoli non c’è azione e quindi in cui lo studio diventa preponderante. Se dovessi fare una stima, credo di aver dedicato in carriera il 75% del tempo al gioco ed il 25% allo studio“.

Con questo lui non intende affermare di essere perfetto, ma se non altro sembra in grado di riconoscere i propri limiti e, perché no, accettarli: “Avere una vita bilanciata non è uno dei miei punti di forza – ammette – il poker mi assorbe molto, e se escludo le relazioni con la mia famiglia, mia moglie ed una ristretta cerchia di amici posso dire che non mi accada molto altro, ma per il momento mi va bene così…”.

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