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"A durrrr di promuovere una poker room non è mai importato nulla"

Cosa ci si aspetta da giocatori come Phil Ivey o Tom Dwan una volta che sono sponsorizzati? Secondo qualcuno, che si comportino in modo molto diverso da come hanno sempre fatto.

In un bell'articolo, che appare condivisibile in buona parte, Lee Davy non usa perifrasi per descrivere quello che pensa riguardo a "durrrr": "I fatti ci dicono che Dwan abbia la personalità di un mattone, e che le sue interviste siano atroci, mancando di rispetto non soltanto all'azienda che si trovava a rappresentare ma anche alle migliaia di fan che non vedono l'ora di sapere qualcosa in più di lui. Di tutto questo non gli è mai importato, né gli importa o gli importerà, nulla".

Ma il giornalista inglese ne ha anche per Phil Ivey, che a suo avviso al pari di Tom "sembra convinto di respirare un tipo di ossigeno diverso da quello di tutti gli altri, una primadonna che accetta di essere intervistata solo da pochissimi, per non doversi confondere con gli altri comuni mortali".

Per Davy non importa quanto queste persone nel privato possano essere meravigliose, se poi gli appassionati non possono avere accesso (almeno in parte) a tutto questo: "Il fatto che un personaggio come Phil Ivey abbia lanciato un'applicazione social appare drammaticamente ironico. Ci siamo dimenticati che ciò che rende speciale il poker è che la persona comune possa giocare al fianco di una star, parlare ed interagire con lui". 

Molti volti noti indubbiamente hanno molto da imparare nel nostro mondo sotto questo punto di vista. Un professionista come Constant Rijkenberg, a questo proposito, ha commentato: "I giocatori vincenti sono spesso nient'altro che questo, professionisti bravi a poker. E' difficile trovare qualcuno che abbia una buona spendibilità mediatica e che al tempo stesso sia vincente in maniera costante, ma al tempo stesso i migliori in questo senso non cercano una sponsorizzazione, o ne hanno di minori".

Sottolinea inoltre come - a suo avviso - non di rado alcuni professionisti sponsorizzati trattino male i giocatori amatoriali, quando perdono contro di loro. Forse questo accade meno frequentemente di quanto affermi, ma certo si tratta di un fenomeno che se anche fosse raro non dovrebbe assolutamente esistere, per ovvie ragioni.

Molte delle argomentazioni portate da Lee appaiono centrare il bersaglio, soprattutto relativamente ad un punto: buoni ambasciatori del poker sono indispensabili nel diffonderne la popolarità, scrollandosi nel contempo di dosso quella patina di azzardo cieco e portatore di rovina che culturalmente si è sempre trascinato con sé. Non basta essere forti, non basta essere famosi, non basta essere belli: ovvietà che evidentemente non sono poi così scontate.