L'election day americano non ha solo designato il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump: in alcuni stati si è assistito al trionfo referendario sull'uso della marijuana a scopo ricreativo: così in California, Nevada (54% del consenso), Massachusetts ed in altri 5 stati, ai maggiori di 21 anni sarà consentito il possesso fino ad un massimo di circa 28 grammi di "maria" oltre alla coltivazione fino a 6 piante.

La stessa California, nel 1996, era stato il primo stato a legalizzarla per scopi terapeutici. In seguito anche a Las Vegas e dintorni era consentito comprarla nelle farmacie.
Arriva a Las Vegas quindi una svolta che però mette in allarme i Casinò. Già in passato nell'industria del gambling si era discusso in modo animato sulla possibilità di consentire la vendita all'interno delle farmacie dei resort. In molti hanno colto la nuova opportunità di business: il famoso poker pro Phil Ivey ha investito in un punto vendita della città delle luci.
La Gaming Commission del Nevada si è sempre espressa in maniera negativa e si è schierata a tutela dei giocatori. Ma c'è soprattutto una giustificazione legale fondata a questo divieto. In pochi sanno che negli Stati Uniti una legge federale proibisce l’uso e il possesso di marijuana, divieto rafforzato dal Comprehensive Drug Abuse Prevention and Control Act del 1970.
Pertanto, per effetto della gerarchia delle leggi, tutte le leggi statali che consentono l'uso ed il possesso della cannabis sono da ritenersi "illegali", non conformi. Fino ad ora l'equivoco è stato generato da un atteggiamento permissivo del Dipartimento di Giustizia (DoJ) ma ora il vento sembra cambiare.
I casinò non possono consentire al loro interno una condotta vietata da una legge federale. Il rischio è quello di mettere a rischio l'intera industria del gambling che in Nevada vale 11 miliardi di dollari l'anno.
Tony Alamo, presidente della Nevada Gaming Commission, ha affermato: "in nessun modo mi sentirei a mio agio se consentissi ad un nostro licenziatario di commettere un atto criminale nella sua proprietà".
Esplicito anche uno dei membri della commissione Randolph Townsend: "se dovessi sposare una posizione che consentisse di infrangere una legge federale, sarebbe un invito a nozze al Governo federale di intervenire".
La questione sull'uso "lecito" e consentito della marijuana a scopro ricreativo è un tema complesso negli States.
L'industria americana della "maria legale" ha incassato il voto favorevole in otto stati ma guarda con sospetto alla vittoria di Trump e dei conservatori. Il neo eletto presidente è stato molto ambiguo sul tema in campagna elettorale. Ha alternato affermazioni contro l'uso di queste droghe leggere ma in altre occasioni ha promesso la legalizzazione nei 50 Stati.
In realtà molto dipenderà dall'atteggiamento dei suoi collaboratori diretti. In molti temevano la nomina di Rudy Giuliani in qualità di Attoney General. L'ex sindaco di New York è uno dei membri più influenti del "partito" proibizionista.
Trump ha però nominato a capo del Dipartimento di Giustizia l'ultra conservatore Jeff Sessions (accusato in passato di razzismo) che già lo scorso aprile si era fatto promotore di un'iniziativa anti-cannabis. Il neo procuratore ritiene che la marjuana sia una sostanza molto pericolosa ed ha attaccato aspramente Barack Obama per la sua politica lassista.
Il Dipartimento di Giustizia potrebbe presto svegliarsi come fece nel 2011 nei confronti del poker online (Black Friday): le rooms si muovevano in una zona grigia non definita (e sappiamo tutti come è andata a finire) la stessa dell'industria della marijuana, seppur con l'appoggio dei singoli stati.
Gli esperti prevedono nel mercato un'offensiva aggressiva di Washington nei confronti dell'autonomia degli Stati. Per questo motivo Las Vegas preferisce tenersi lontana dai guai e preservare il suo core business miliardario.