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La storia del poker underground a New York, tra collusion, mafia e milioni di dollari

“Sono le 10 di sera di martedì e sto per fare qualcosa di illegale”. Incomincia così un lungo ed elaborato articolo del NY Post sulle partite di poker underground di New York.

È noto che nella Grande Mela ci sia una scena molto attiva per quanto riguarda gli home games, partite private organizzate nei club e assolutamente illegali. Se nel corso degli anni erano state trattate soprattutto da film (Rounders in primis), libri e in qualche spezzone di alcune serie tv, ora anche il NY Post ha deciso di dedicare il giusto spazio a un fenomeno che, per quanto borderline, è ormai parte dell’identità della City of Blinding Lights.

L’autore dell’articolo – Michael Kaplan – esordisce raccontando di una nottata passata a giocare in uno dei tantissimi club di poker della metropoli statunitense. Tuttavia, non sono le sue avventure ai tavoli il soggetto dell’inchiesta: Kaplan ripercorre tutta la storia della scena underground utilizzando le testimonianze, tra gli altri, di Mickey Appleman ed Erik Seidel, due noti professionisti nati pokeristicamente proprio a New York.

POKER UNDERGROUND: L’EUROPA DELL’EST ALLA CONQUISTA DI NEW YORK

Tutto ha inizio negli anni Settanta, quando gli immigrati dell’Europa dell’Est iniziarono ad organizzare partite di gin rummy e poker (nelle quali il protagonista assoluto era un giovanissimo Stu Ungar). All’epoca il poker era completamente differente da oggi e nei locali gestiti dalla mafia russa il concetto di integrità del gioco era ancora tutto da definire. “Giocavamo perché ci piaceva giocare, ci piaceva essere sempre al centro dell’action e avere tanti contanti”, racconta Johnny, un regular dell’epoca che ha scelto di restare anonimo. “Ma si barava, e ogni volta che ne avevamo la possibilità baravamo“.

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Una circostanza che oggi risulta sconvolgente, ma che all’epoca non solo rappresentava la normalità: saper barare bene era considerata una abilità che non tutti potevano vantare. Per questo motivo, chi perdeva soldi non veniva considerato truffato ma semplicemente scarso. “Facevamo spesso collusion”, racconta Johnny. “Parlavamo in codice: “divertente” voleva dire 4, “simpatico” voleva dire 9, “molto” significava un tris. Se dicevo “questo tizio è molto simpatico” stavo comunicando al mio partner che avevo un tris di 9. E quello che tiravamo in mezzo non aveva idea di ciò che stava succedendo”.

Su un aspetto, un’idea ben chiara su quei tempi se la sono fatta tutti: giravano tantissimi soldi. “Le partite gestite dagli immigrati dell’Europa dell’Est erano soft e c’erano così tanti contanti sul tavolo che i dealer guadagnavano $100.000 all’anno“.

POKER UNDERGROUND A NEW YORK: L’ERA DEL MAYFAIR

L’era dell’Europa dell’Est è finita nel 1974, quando i casinò di Atlantic City hanno iniziato ad offrire anche il poker. A quel punto, come racconta Johnny, molti hanno deciso di andare a giocare in un ambiente più sicuro, dove non c’era il rischio di essere truffati. I regular, in gran parte criminali, sono morti oppure si sono dedicati ad altro.

Erik Seidel ricorda Stu Ungar
Erik Seidel

La seconda era del poker underground a New York è quella degli anni Ottanta. All’inizio del decennio alcuni club privati come il Mayfair diventarono molto popolari in città soprattutto tra gli appassionati di bridge e backgammon. All’epoca non si giocava ancora a poker, considerato un gioco da banditi e da locali squallidi. La passione, però, era forte anche tra i frequentatori del Mayfair. A meta degli anni Ottanta si tennero le prime partite di cash game, che portarono a un autentico boom del Texas Hold’em e degli Stud Games a New York.

“Il primo ad aver lanciato il poker era un tizio che chiamavamo Phil il Coniglio”, racconta Erik Seidel. “Era un finanziere, aveva un sacco di soldi ed era molto emotivo. Quando perdeva impazziva: era fuori controllo e perdeva grandi somme di denaro al tavolo. È stato lui a rendere quelle partite giocabili“.

POKER UNDERGROUND A NEW YORK: L’ERA HIGH STAKES

I giorni d’oro del Mayfair Club sono durati fino a metà degli anni Novanta, concludendosi quasi in concomitanza con l’uscita di Rounders, che raccontava proprio quelle partite. Per arrivare all’ultima era del poker underground di New York bisogna aspettare il 2003, quando un contabile del Tennessee riuscì a vincere il prestigioso Main Event WSOP battendo nell’heads-up finale uno dei massimi rappresentanti del mondo professionistico, Sammy Farha.

Da Las Vegas la notizia della vittoria di Chris Moneymaker fu ripresa in tutto il mondo e arrivò anche a New York. Il poker – o meglio, il No-Limit Hold’em – divenne improvvisamente uno dei giochi più popolari d’America: tutti volevano giocarci, e non parliamo solo delle persone comuni, ma anche dei VIP. Così iniziò l’ultima fase del poker underground di New York: quella delle partite high stakes private.

Fino al 2003 si giocava a poker illegalmente nei club per tentare di soddisfare i bisogni dei semplici appassionati. Dal 2003 in poi alcuni club hanno iniziato a dedicarsi esclusivamente ai limiti high stakes, assicurandosi i primi servizi di PR per portare le celebrity a giocare e offrendo comfort di ogni tipo, proprio come avviene nelle poker room di Las Vegas.

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Tobey Maguire e Leonardo Di Caprio
Tobey Maguire e Leonardo Di Caprio

In questo contesto c’era una giovane cameriera molto ambiziosa, che partendo dal basso riuscì a diventare la principessa delle partite illegali. Parliamo di Molly Bloom, che nel giro di pochi anni passò dal servire drink ai tavoli al ritrovarsi dietro la cassa a contare lo stack milionario di Ben Affleck.

La Bloom ha organizzato partite di tutti i tipi a Manhattan e a Los Angeles, finché non è stata arrestata. Da quel momento si è limitata a raccontare quei segretissimi home game tra interviste e libri, mentre volti noti come Ben Affleck, Leonardo Di Caprio, il campione di baseball Alex Rodriguez, Tobey Maguire e via discorrendo hanno smesso di giocare oppure hanno adottato un profilo ancora più basso.

Attualmente pare che tutta l’action high stakes si sia trasferita in California, dove Dan Bilzerian, Bill Perkins e altri milionari annoiati si giocano cifre da capogiro. E a New York cosa è rimasto della scena underground?

IL POKER UNDERGROUND A NEW YORK OGGI

Kaplan assicura che il poker è più vivo che mai, soprattutto perché è un ottimo business. “Mettendo un paio di persone a capo di un piccolo club guadagni $100.000 all’anno“, racconta Jamie Weinstein, un finanziere che vive in Connecticut e partecipa frequentemente alle partite private di New York. “Era un fatto noto che il proprietario del Play Station (uno dei locali più popolari, ndr) guadagnasse ben più di un milione di dollari all’anno“.

Il problema della scena odierna è che la mafia ha riportato un clima simile a quello degli anni Settanta. Non c’è più la tranquillità degli anni Ottanta del prestigioso Mayfair Club, ora ci sono locali nei quali si rischia molto. Uno di questi è il Genoa: “Il Genoa ha subito molteplici rapine”, spiega Weinstein. “Quel posto è chiaramente gestito dalla mafia. Era abbastanza spaventoso vedere le persone che continuavano ad andarci nonostante fosse un posto di malavitosi”.

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Fino al 2007 la scena dei club underground era una vera e propria giungla, con la polizia che chiudeva entrambi gli occhi. Nel novembre di quell’anno, però, è successo qualcosa che ha posto fine al caos: durante una delle tante rapine in un club di poker, a uno dei ladri cadde la pistola, da cui partì un colpo. Un insegnante di matematica del liceo seduto al tavolo fu colpito e morì sul colpo.

Da allora i locali sono tornati ad essere davvero underground: ora per partecipare a una partita devi essere invitato e perquisito, alla porta ci sono guardie di sicurezza e spesso avvengono raid della polizia che si concludono con il sequestro del denaro e il fermo dei presenti.

Ma ciò non significa che il poker underground di New York sia morto: centinaia di giocatori si ritrovano tutte le sere in locali sparsi per la città, pronti a darsi battaglia ai tavoli. Il connubio tra New York e il poker è destinato a esistere ancora per molto tempo.

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