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La Macao degli anni novanta raccontata da Tiziano Terzani: “I cinesi si giocavano i miliardi!”

Tiziano Terzani è uno degli scrittori italiani più apprezzati degli ultimi trent’anni. I suoi libri, soprattutto dopo la morte avvenuta nel 2004, hanno ispirato e illuminato migliaia di persone grazie alle riflessioni profonde, schiette e mai banali su tante tematiche differenti. Terzani ha scritto a lungo delle guerre che ha vissuto in prima persona come reporter, del fascino millenario dell’Asia, del suo particolare rapporto con la malattia e della spiritualità nel senso più ampio del termine.

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Lo scrittore fiorentino ha anche dedicato grande spazio alla superstizione, specialmente nel suo libro più famoso “Un indovino mi disse“. In questo saggio, racconta di quell’annata passata interamente senza prendere aerei a causa di una profezia che gli fece un’indovino nel 1976: a Hong Kong, l’uomo gli intimò di non volare nel 1992 perché altrimenti sarebbe morto in un incidente aereo. Terzani utilizzò questo pretesto per dedicare quell’anno a viaggiare lentamente per l’Asia, alla scoperta delle sue infinite credenze.

Nel corso della ricerca si imbatté in indovini dotati di poteri apparentemente sovrannaturali e in cialtroni, ma soprattutto scoprì quanto la superstizione fosse fortemente radicata nella società asiatica. Quando sbarcò a Macao, poi, scoprì che le credenze millenarie avevano incontrato il gioco d’azzardo dando vita a circostanze assurde.

Già all’epoca, nel 1992, Macao era la capitale del gambling in Asia. Oggi siamo abituati a conoscere l’ex colonia portoghese come uno dei luoghi preferiti dai più ricchi giocatori di poker al mondo, mentre allora erano soprattutto i casino games a tener banco. Si passava dai classici Blackjack e Baccarat fino a giochi sconosciuti nel resto del mondo, a cui Terzani prese parte dopo averli osservati a lungo.

In “Un indovino mi disse” racconta di questo particolare “fan tan“, gioco nel quale bisognava indovinare il numero di bottoni presenti sul panno verde. Parlando di un’amica cinese conosciuta a Macao, scrive:

“Ogni tanto andava a Macao e – come me – passava intere giornate ai tavoli di black jack, baccarat e soprattutto al fan tan, quel semplicissimo ma affascinante gioco in cui il croupier rovescia sul tavolo una ciotola piena di bottoni, poi lentamente, con una bacchetta d’avorio, li divide in gruppi di quattro. Si tratta di indovinare il numero dei bottoni che restano alla fine: zero, uno, due o tre? Il bello del gioco è che si può seguirlo dall’alto, stando affacciati a una balaustra, e che si punta e si ricevono le vincite mandando su e giù un panierino di vimini legato a una corda”.

Oltre a questi giochi particolari, Terzani fu sbalordito e in un certo rapito dalla propensione al gioco d’azzardo dei cinesi, che alla sera prendevano i battelli dalla Cina per raggiungere Macao e gamblare tutta la notte.

“Scendevo all’imbarcadero di Macao insieme a tutti quei cinesi che andavano a cercare di riprendersi i soldi che avevano perso la volta prima”, dice in “La fine è il mio inizio”. “Si giocavano i miliardi, fabbriche intere sono state giocate ai tavoli di Macao. […] E i drammi umani! Madonna, hai Balzac tutto davanti a te. Le giovani amanti dei vecchi, i vecchi industriali che arrivano e scommettono fortune”.

Macao
Macao

Ma se è vero che i cinesi incontrati da Terzani erano scatenati giocatori d’azzardo in grado di stare nei casinò per decine di ore consecutive, lo stesso scrittore italiano era un grande appassionato di gambling. Non lo nasconde, ma anzi, è orgoglioso delle scorribande ai tavoli di Macao:

“La cosa che a me affascinava non era tanto l’entrare nel mondo del gioco quanto il problema della fortuna e della sfortuna“, spiega al figlio Folco in “La fine è il mio inizio”. “Perché tu ti siedi a un tavolo di fan-tan o baccarà o black jack – mi piacevano tutti – e in qualche modo giochi, perdi, vinci, giochi, perdi, vinci… E a un certo momento incominci a perdere terribilmente, terribilmente, e non c’è niente che tu ci possa fare. […] Gli altri ti guardano come un appestato perché, specie nel baccarà, si gioca in qualche modo tutti insieme. E se resisti, se hai soldi, stranamente d’un tratto – paff! tutto si ribalta. Ricominci a vincere. Vinci, riscommetti e vinci. E allora sei benedetto. Tutti si siedono accanto a te, ti toccano, vogliono mettersi a giocare sul tuo posto”.

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Terzani, che in “La fine è il mio inizio” sa di essere alla fine dei suoi giorni, ricorda con nostalgia le giornate e le nottate passate a giocare d’azzardo in una Macao che all’epoca aveva pochissimi gambler occidentali. Alcune delle storie che racconta possono apparire estreme, ma in realtà la sua era una semplice passione. Aveva infatti una visione ben precisa del denaro, ripresa dalla tradizione cinese: ci sono i soldi verticali che sono destinati al gioco (e comprendono anche le vincite) e quelli orizzontali che ti devi guadagnare lavorando.

Con i soldi verticali si è divertito alla grande a Macao, anche se, come tutti i giocatori d’azzardo, ha dovuto affrontare sessioni particolarmente negative:

“Arrivavi e ti infilavi in una di quelle bolle di sapone, perché quel che è affascinante del casinò è che è una bolla di sapone. Entri e lasci il tempo dietro di te. Non sai se è giorno o se è notte perché non vedi fuori, non ci sono finestre. Sei costantemente in un altro tempo. A me succedeva di finire i soldi, uscire dal casinò, rimontare sull’aliscafo, un po’ abbacchiato – non perché avevo perso i soldi verticali (soldi dedicati solo al gambling, ndr), ma perché ero stato fregato dal miliardario che possedeva il casinò“.

Ma capitava anche di vincere bene nei casinò di Macao, e allora Terzani restava fedele alla sua visione: trattandosi di soldi verticali, non aveva senso metterli da parte. Non era così che si guadagnava da vivere, quindi le vincite dovevano essere subito spese.

In “La fine è il mio inizio”, ad esempio, racconta di quando vinse cinquemila dollari dopo una sessione infuocata e si recò a pranzare nel suo ristorante preferito di Macao. Sulla strada trovò un gruppo di artigiani che stavano costruendo un prezioso letto in legno secondo l’antica tradizione cinese. Lui li approcciò, chiese se era in vendita e alla fine lo comprò, spendendo tutti i cinquemila dollari.

Nel corso della sua vita, Tiziano Terzani ha anche giocato a poker. Ma il suo interesse è sempre stato rivolto al gioco d’azzardo vero e proprio, per il motivo che spiegò al figlio Folco in “La fine è il mio inizio”:

“Sì, giocavo a poker, ma era troppo personale. Il poker è uno scontro fra due persone che cercano di fregarsi a vicenda. Mi piaceva, certamente, ma non è il mio ideale. Il mio ideale è il casinò, perché lì giochi contro un’entità anonima. Quel che mi affascinava del casinò e a cui ho dedicato varie ore della mia vita – eh sì, varie ore – era di nuovo l’atmosfera. […] Come giocavo io, alla fine facevi pari. Ma quel che vincevi era il divertimento“.

Tiziano Terzani è stato un grande scrittore con la passione per il gioco d’azzardo. A dimostrazione del fatto che, quando si gioca secondo i propri limiti e senza esagerare, il gambling non è altro che semplice divertimento.

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