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Valore Disatteso: #16 – Cartoline da Tokyo e Seul

Tokyo è un elenco, non una frase. Non riesci a parlarne con le strutture del pensiero occidentale, finisci per forza ad accostare aggettivi, giustapporli, metterli uno accanto all’altro come i giapponesi accostano le luci al neon di notte, trasformando le città in scene cyberpunk, o in qualcosa che ricordi di aver visto in qualche immagine lontana, qualche volta.

Tokyo è moderna, labirintica, opprimente, graziosa, terrificante, fredda, entusiasmante, armonica, armoniosa. Ed è poi questo che ti resta dentro, di Tokyo e della cultura giapponese, l’armonia dei contrasti, l’idea che comporre gli elementi in un equilibrio superiore sia il valore ultimo dell’esistenza, l’altare al quale sacrificare l’individualità sfrenata, la passione, l’odio, le risse nei bar, i furti, l’amore profondo e totalizzante degli occidentali. Posso essere in disaccordo con te ma combatterò fino alla morte per non fartelo sapere, parafrasando Voltaire.

Neanche alle sillabe riescono a dare una precedenza, un accento, hanno tutte lo stesso valore: Sa-Ka-Mo-To, O-Sa-Ka. Così ti trovi ad aggirarti per le vie ordinate e sicure di questa città in cui tutto funziona tanto bene da farti sentire fuori posto, di troppo, e ti viene da pensare a quanto semplice possa essere la vita, se si è disposti a pagare col sorriso un prezzo altissimo, la rinuncia a quel sé che in occidente è ragione di vita, motore di lotte e sogni.

Il tempo di notare che di loro sapevi poco o nulla, neanche cosa mangiano davvero, visto che ricordavi pesce crudo e spaghetti e qui tutti mangiano carne alla brace, ed ecco che cominci ad intravederne il lato oscuro, nascosto. Il culto maniacale della fama, vissuta con invidia profonda, lacerante, il razzismo strisciante che sorrisi e inchini coprono come una sciarpa troppo corta, il torbido di pulsioni vissute con tanta esibita trasparenza da far quasi spavento. In poco tempo cominciano a sembrarti più umani, meno incomprensibilmente gelidi, ma umani in modo terribilmente diverso da te, e allora cominci a capire davvero i film di Tsukamoto per la prima volta.

Ma ti manca il tempo, devi ripartire portandoti dietro questa sensazione strana: conosci la città, da turista coscienzioso, e cominci a conoscere loro, da uomo attento, ma vorresti sapere di più, capirli meglio, e, forse giustamente, non puoi.

A Seul una notte e un giorno.

Una notte ti racconta la Corea viva, odierna, elettrica, una notte per assaggiare il bulgogi con le bacchette di metallo (le uniche in Asia) nei ristoranti, per sorseggiare il soju, che sembra vodka annacquata e dolciastra, nei quartieri dei giovani, dove si balla nei club, si fuma nei pub e si finisce la serata nell’isteria dei separè dei karaoke. Di notte scopri un popolo nuovo, tradizioni secolari di rispetto per gli anziani che non stonerebbero in Giappone, spazzatura ai lati della strada nei quartieri notturni che andrebbe bene a Pechino.

Ti viene da pensare, da turista di notte, che i coreani sono un compromesso tra Giappone e Cina, ma capisci che gli stai facendo un torto, che sono altro. Se versi a da bere a qualcuno più anziano di te, anche di pochi anni, devi farlo con due mani. E davanti a lui dovrai bere con la faccia rivolta di lato, senza guardarlo a meno che non ti dia lui il permesso di farlo. E inchinati di più, avanti, più profondo è l’inchino più sei gentile. Sul serio. Di notte a Seul preparano le frittelle per strada e giovani cantano in gruppo lì davanti, o da soli nei karaoke, e la città è bella di neon e geometrie di riflessi anche quando sai che probabilmente non lo è.

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Un giorno per scoprire la Corea antica, il palazzo reale che è bello come tutto il tuo immaginario di esotismo asiatico raccolto insieme, garbato, messo in ordine, un feng-shui intellettuale dei tuoi preconcetti, tutti lì, bellissimi. Di giorno le carpe nel lago con le ninfee e la pagoda al centro, le guardie in uniforme rossa e celeste e gialla e le statue di animali che sorridono, controcanto ironico voluto dal’architetto del palazzo, così austero e solenne. Di giorno la storia, il passato, i ricordi, un alfabeto inventato da un re, che ormai distingui bene dagli ideogrammi cinesi e da quelli giapponesi.

Una notte e un giorno a Seul, poi, immancabilmente, un aereo.

[Dario] è uno scrittore, professional poker player e coach di Pokermagia

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