Qualche mese fa abbiamo intervistato Giovanni Rizzo per saperne di più del fenomeno Hearthstone, gioco prodotto dalla Blizzard che ormai ha sfondato il muro dei 50 milioni di utenti nel mondo (QUI l’intervista doppia con Antonio Smeraglia). Sarà riuscito il buon ‘gioriz’ a raggiungere il grado di Leggenda?
Glielo abbiamo chiesto, cogliendo l’occasione per fare una riflessione più approfondita non solo su Hearthstone, ma anche sugli eSports e sull’opinione pubblica che nel nostro Paese fatica ancora ad accettare professioni tendenzialmente nuove come il professional poker player o il videogiocatore.
In questo Articolo:
- 1 Ci siamo lasciati la volta scorsa con la sfida Leggenda da vincere. Ce l’hai fatta?
- 2 Ecco appunto: come concili il poker, che è il tuo lavoro, con Hearthstone?
- 3 Entriamo più sul lato tecnico di Hearthstone: quali sono i mazzi che utilizzi più spesso?
- 4 Quindi ad un principiante consiglieresti proprio un mazzo cacciatore, per iniziare.
- 5 C’è una carta che assolutamente non può mancare nei tuoi mazzi?
- 6 Avrai sicuramente sentito della vittoria di Bertrand ‘ElkY’ Grospellier in un torneo di Hearthstone. Credi che i professionisti del poker possano avere un vantaggio in questo gioco?
- 7 Allarghiamo il discorso sugli eSports. Fuori dai nostri confini sono già un fenomeno globale, qui a stento se ne parla. Perché secondo te? Ci arriveremo anche noi prima o poi?
Ci siamo lasciati la volta scorsa con la sfida Leggenda da vincere. Ce l’hai fatta?
Giovanni Rizzo: “Sì, ce l’ho fatta, e per due mesi di fila. Poi i vari impegni tra SCOOP, poker online, e una vacanza in toscana completamente “disconnected” mi hanno tenuto un po’ lontano da Hearthstone. D’altro canto una volta che raggiungi il livello Leggenda non hai più molto da fare, se non sei un professionista del gioco. Era comunque una sfida che volevo vincere contro me stesso e ce l’ho fatta”.
Ecco appunto: come concili il poker, che è il tuo lavoro, con Hearthstone?
Giovanni Rizzo: “Il bello di Hearthstone, per me, è che ti riporta a una dimensione prettamente ludica. Hearthstone è puro divertimento, spesso ci gioco dopo aver finito una sessione, magari per “stiltare”. Gioco 5/6 ore a settimana, tranne il mese scorso che ho “rushato” per fare leggenda.
Non che manchi la dimensione competitiva, eh. Nel poker ho imparato a stare tranquillo, ad astrarmi dal risultato. Anche quando magari un paio di flip possono spostare parecchio davvero, come capita abbastanza nei grossi festival del .com. Ho imparato che se ho fatto la scelta giusta, non devo rimproverarmi nulla.
Hearthstone invece mi permette di pensare solo e soltanto a divertirmi, di sfogarmi un pò quando serve, e di sbraitare per bene quando mi “topdeckano” in faccia !
Ti do anche un’anteprima: a breve aprirò un canale Twitch su poker e Hearthstone. Ovviamente come detto, Hearthstone per me è un divertimento e quindi la finalità degli streaming sarà puramente ludica”.
Entriamo più sul lato tecnico di Hearthstone: quali sono i mazzi che utilizzi più spesso?
Giovanni Rizzo: “Ho riempito tutti gli slot disponibili, perché mi piace molto sperimentare. Per raggiungere il livello leggenda sono partito da un mazzo cacciatore molto aggressivo, per scalare i livelli bassi. Questo mazzo è un po’ come un maniac nel poker: o vinci in fretta, o perdi in fretta. Anche perché i primi livelli sono piuttosto noiosi.
Poi alterno un druido mid-range, settato contro aggro, a un sorta di tempo mage molto particolare, che mi sono creato io”.
Quindi ad un principiante consiglieresti proprio un mazzo cacciatore, per iniziare.
Giovanni Rizzo: “Direi proprio di sì. Si tratta di un mazzo formato per lo più da carte comuni, abbastanza facile da gestire, che non costa molto. E poi come ti dicevo è un mazzo molto rapido: le partite durano poco, perché o riesci a vincere subito o viceversa vieni annichilito nel giro di poco tempo”.
C’è una carta che assolutamente non può mancare nei tuoi mazzi?
Giovanni Rizzo: “No, non ho carte preferite. Quella che ho usato di più, se proprio devo sceglierne una, è il Segatronchi Pilotato: è una carta che costa 4 mana, ha 4 di attacco e 3 di difesa, e quando muore evoca un minion casuale da 2 mana. È molto versatile, ed è buon “value”.

Avrai sicuramente sentito della vittoria di Bertrand ‘ElkY’ Grospellier in un torneo di Hearthstone. Credi che i professionisti del poker possano avere un vantaggio in questo gioco?
Giovanni Rizzo: “Sicuramente c’è un crossover tra questi due giochi. Molte delle abilità di base richieste sono simili, anche se le possiamo chiamare in modi differenti: controllo del rischio, expected value e via dicendo, sono concetti che si applicano tanto al poker quanto ad Hearthstone.
Sono entrambi giochi ad informazioni incomplete, dove conta tanto il timing, il flow della partita e lo studio del metagame. Anche in Hearthstone poi, un professionista non farà una giocata solo per il gusto di farla, per il suo aspetto ludico. Avrà studiato sempre tutte le possibili ramificazioni e conseguenze della sua action. Mentre io, che a Hearthstone gioco for fun, il più delle volte gioco “a istinto” senza pensarci troppo, senza uno studio vero e proprio.
Passiamo ora al poker. Anche qui, tanti giocatori amatoriali sono innamorati di alcune carte, ed è giusto che sia così. Ad un giocatore amatoriale può piacere J-Q suited e la giocherà sempre, a prescindere dall’action, dall’avversario, dal momento della partita. Ed è giusto così, è giusto che il giocatore amatoriale giochi per divertirsi. Ma i professionisti pensano sempre all’EV di una giocata, al suo impatto sul lungo periodo, che si tratti di poker o Hearthstone”.
Allarghiamo il discorso sugli eSports. Fuori dai nostri confini sono già un fenomeno globale, qui a stento se ne parla. Perché secondo te? Ci arriveremo anche noi prima o poi?
Giovanni Rizzo: “Qui mi prendo qualche momento in più perché il discorso è molto interessante. Parto da una premessa: io vivo in Slovenia da un anno e non sono qui di passaggio, mi sono trasferito a Lubiana e intendo rimanere qui a vivere.
Amo l’Italia, i suoi sapori, i suoi odori: è la mia terra, del resto. Ma sono profondamente incazzato con il mio Paese. L’Italia è un Paese che non lascia spazio al cambiamento. E la cosa si riflette in cose importanti, in primis, ma non è questa la sede. per parlarne E a cascata anche in nicchie più marginali, come possono esserlo i giochi.
Quando fu creato il poker online .it, inizialmente io fui molto contento. Era l’occasione ideale per testare il mercato e le sue dinamiche, per poi aprirsi ad una liquidità condivisa. Quello avrebbe dovuto essere l’obiettivo a lungo termine. Sarebbe bastata anche una liquidità condivisa con Portogallo, Spagna e Francia e sarebbe cambiato tutto. Invece ci siamo chiusi nel nostro orticello, come sempre. Un orticello che sta piano piano appassendo, come in tanti altri settori, soffocato dalla mancanza di sbocchi.
Qui in Slovenia parlano tutti inglese, ma tanti parlano anche una terza lingua : francese, italiano o tedesco. E lo sai perché? Perché nelle scuole si insegnano quasi sempre tre lingue. Sloveno, inglese, e poi una terza a scelta. E alle lingue straniere viene dato spazio, non un’oretta a caso durante la settimana.

A differenza nostra che abbiamo uno dei tassi di conoscenza dell’inglese più bassi d’Europa, cosa drammatica, nel 2016. E poi, fin da piccoli, qui come nel 90% degli altri paesi europei, guardano i film in lingua originale.
Che sembra una stupidata, ma è emblematico di un certo nostro atteggiamento : è chiaro che se pretendi che siano gli altri ad adattarsi a te, invece di essere tu ad abbracciare un respiro internazionale, inevitabilmente resti tagliato fuori. Siamo terribilmente autoreferenziali, che a mio avviso è il peccato capitale del nostro paese.
Questa premessa per dire che probabilmente sì, quando gli eSports saranno un fenomeno di massa talmente diffuso e potente che non potrà più essere trascurato, ci arriveremo anche noi. Ma dubito fortemente che riusciremo a farne un prodotto appetibile e competitivo come lo è in altri Paesi.
In Corea, ad esempio, gli eventi di eSports riempiono arene di spettatori, decine di migliaia. È un lavoro a tutti gli effetti, le “stelle” di questi giochi sono superstar globali, non solo nella loro nicchia. Hanno sponsor importanti. Il gamer è un professionista rispettato.
Io per far capire a chi mi sta intorno quale fosse la mia professione, lasciamo perdere accettarla, ci ho messo parecchio tempo e fatica. E vengo da una famiglia aperta, di cultura, con genitori meravigliosi. Da quando vivo all’estero non noto più quella diffidenza che ho sempre sentito in Italia, quello scetticismo quando rispondevo alla domanda “che lavoro fai”. Negli eSports funziona allo stesso modo".