Copenhagen, 23 febbraio 2008
- Giochiamo a Poker Mentale, Alè?
- Io gioco a tutto Dario
- Si tratta di pensare a una combinazione qualsiasi di 2 carte, non comunicarla al tuo avversario e giocare con uno stack che immaginiamo di avere. Un terzo aiutante stende il board come se fosse un dealer e ce lo comunica verbalmente, noi giocheremo il colpo come se lo stessimo facendo su un tavolo vero
- Ok, ci sto, mi piace, Dario. Ma la domanda è: cosa ci giochiamo?
- Una stella di Hokuto
- Perfetto. Quante stelle di Hokuto abbiamo?
- Quelle sufficienti a farci venire sonno
Tra gli appunti che chi vi scrive conserva gelosamente sia nella propria ormai flebile memoria, che nei suoi scarabocchi presi qua e là in tutti o quasi i Casinò del mondo, emerge ogni tanto questo ricordo che, tra le altre e infinite scintille di tempo e spazio, mi hanno fatto innamorare di alcuni dei personaggi che ho incontrato lungo il mio tragitto professionale.
Il contesto fu il “Casino Copenhagen” di Copenhagen, a mettere a nudo un ormai certificato difetto di fantasia, per non dire totale assenza, nella ricerca dei nomi da assegnare alle “cose” da parte di alcuni Paesi.
Fu la notte di Tim Vance e dell'heads up più lungo della storia degli European Poker Tour che la mente umana possa ricordare.
Terminò alla mattina con la vittoria dello statunitense, e in sala stampa giravano queste figure simili a due smilzi cow boy del Far West, pronti a fare a pistolettate con chiunque volesse mettere in gioco il proprio acume ludico, Alessio Isaia e Dario Minieri.
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In questo Articolo:
Il personaggio dispari
Lasciamo da parte per un attimo il rappresentante della fiera e laboriosa Roccabruna, per focalizzarci su quello che, non ce ne vogliano gli altri professionisti del nostro mondo, è, per le molteplici caratteristiche del proprio vissuto, il giocatore italiano che ha avuto più seguito nel mondo, Dario Minieri.
Voglio chiarire subito un concetto: se siete entrati qui per soddisfare voglie gossipare, istinti di morbosa curiosità sulla situazione attuale del romano, è il posto sbagliato.
L’analisi che avevo in mente di fare da tempo, si pone l’obiettivo di capire per quale motivo il giocatore medio italiano, il vero campione, chi ha iniziato da poco, chi gioca da 20 anni, o chi racconta il poker per voi, appena legge il nome di Dario Minieri, si fiondi a capire cosa possa essere successo.
Non è esattamente un fenomeno nuovo di pacca e non è nemmeno circoscritto tra il Mediterraneo e le Alpi, perché ovunque possiate andare a giocare dentro un Casinò dove ci sono stranieri, se scoprono che siete italiani, prima o poi vi faranno la domanda che suonerà più o meno così: “che fine ha fatto Dario?”.
Caterpillar
La caratteristica di personaggio dispari, quello fuori dagli schemi, quello che nel recinto non ci è voluto mai stare, Minieri l’ha sempre avuta.
È probabilmente sempre stato il suo punto di forza, esattamente come quello che gli ha creato dei problemi.
Le mezze misure non sono mai state di casa, come quella notte al Main Event delle WSOP nell’ormai lontano 2007 che gli valse il soprannome di “Caterpillar”. Sciarpa delle Roma, occhialoni coprenti e aperture da ogni angolo del tavolo, anche da “Under The Table”, come scrissero allora gli americani.
Dario quella sera sfiorò i 3 milioni in chip a T6.000, fateli voi i calcoli del numero di bui, perché a quel livello non sono esattamente pochi…
Eppure il romano uscì solo 96°, per la delusione di tutti gli appassionati che lo seguivano tramite il blog di Assopoker, già all’epoca testata pronta a seguire un avvenimento di quel tipo, tanto che Yaya, monumentale colonna portante di Asso, inventò il soprannome “Caterpillar”.
Il Poker di Dario Minieri
Ma la domanda rimane, basterebbe farsela come una sorta di introspezione personale atta a conoscere se stessi.
Cosa mi porta ad aprire un pezzo che parla di Minieri? Perché, tranne alcuni casi, non si può non amare uno scricciolo alto un metro e un asso di picche, che voleva sfidare il mondo per portare a casa gli scalpi dorati dei tromboni americani pronti a giocarsi tutto solo ed esclusivamente con carte di valore?
Io la domanda me la son fatta e l’unica risposta che mi sono dato è che nessuno come Minieri ha incarnato il fascino del poker, incarnato e rappresentato. Ma attenzione…
Incarnare e rappresentare in quel modo il poker, non significa che si debba posare il suo interprete sugli allori e genuflettersi alla stregua di una pia in adorazione; ognuno i giudizi li riservi per sé e non è certo un mistero che durante questa lavatrice di emozioni durata qualche anno o poco più, il giocatore romano possa aver commesso degli evidenti errori di valutazione, tecnica e, soprattutto, di lungimiranza.
Ma noi questo aspetto abbiamo il dovere di rispettarlo, esattamente come ognuno di noi esige il rispetto per i propri problemi di natura privata, l’enunciato non cambia nemmeno per il "personaggio pubblico”.
L’Anti personaggio
Chi lo conosce sa che Dario non ha mai cercato la facile popolarità, quella che ti mette in piazza in modo sommario e sommariamente ti fa salire sulla croce esattamente come sull’altare.
Per questo motivo parlo di riservatezza, seppur capisco l’estrema curiosità che, insieme alle altre componenti, vi ha portato ad aprire un pezzo come questo.
Sono centinaia le richieste di notizie sulla vita di Minieri, giocatore e uomo. E altrettante quelle che il lettore e/o il semplice appassionato di poker vorrebbe fossero trasformate in intervista da parte dei vari portali del settore.
Ci abbiamo provato, ci ho provato anche personalmente, ma è giusto rispettare una scelta.
Tutto il suo codazzo di tifosi, detrattori, semplici giocatori che lo hanno visto o meno giocare, hanno sempre avuto la sensazione di avere a che fare con un cocktail di esagerata autostima, mista a quintali di mal celata insicurezza, la prima espressa sul tavolo da poker, la seconda manifestata lontano dal feltro.
Qualcosa si muove?
Partendo dal presupposto che Minieri ha probabilmente sempre immaginato di sedersi al tavolo dentro un altro corpo, un’altra struttura, quasi mitologica per rompere le scatole ai giganti, l’aneddoto del tavolo di las Vegas non ce la faccio a non raccontarlo ogni volta che parlo di lui.
Per darvi il metro di cosa era capace di scatenare, ricordo alle WSOP del 2009 due tavoli adiacenti ai quali sedevano Dario in uno e Phil Ivey nell’altro.
Vi posso assicurare che la scena fu irreale, perché al tavolo del romano si posizionò un centinaio abbondante di curiosi, attratti dal continuo “raise” del giocatore italiano, mentre dall’altra parte Ivey poteva contare sui suoi tifosi di sempre, i coniugi Pat e Mel Humphrey e pochi, pochissimi altri.
Alle WSOP non si può entrare a girare tra i tavoli come semplici osservatori, ma i due di cui sto parlando furono posizionati dall’organizzazione a capo delle due file in testa alle quali erano disposti, una scelta furba, l’americanata per eccellenza. Non gli andò bene, o forse, dal loro punto di vista, magari sì.
Eppure, nel nostro piccolo, Dario Minieri lo abbiamo incontrato di nuovo in qualche report mattiniero che appare su Assopoker, non si sa se per provare a mettere la testa fuori dall’uscio per vedere come va, oppure se si tratta di un progetto più duttile e di sostanza. E in tutte queste, per ora sparute occasioni, è bastato inserire il suo nome sul titolo per moltiplicare il numero dei click dei nostri lettori. E non è una questione di campagne su Facebook, di posizionamento su Google, o di pubblicazione in orari strategici.
È palese una componente: il nostro movimento, voi giocatori, voi appassionati, noi operatori, voi amanti del poker live e di quello online, a prescindere da quanto possiate apprezzare o meno il personaggio in questione, Dario Minieri serve a questo mondo.
E se invece siete tra quelli che lo apprezzano, o, ancor di più, lo conoscono, non potete non fare il tifo per lui.