Sono passati due giorni dall’epilogo del terzo Sunday Million nella storia del poker online italiano, ma le polemiche sono ancora lontane dallo spegnersi. Colpa dei sospetti e di comportamenti scorretti di cui il popolo degli MTT continua a macchiarsi, o perlomeno di cui non sembra volersi liberare.
Le voci sui reali utilizzatori degli account arrivati ai primi due posti non si placano, tra multiaccount, account venduti o affittati a gruppi di player, con migliaia di opinioni e pareri differenti che si incrociano sui forum come sui social network.
Se però vogliamo davvero provare ad analizzare con serietà quel fenomeno di cui chiaramente quest’ultimo episodio rappresenta la classica punta di un iceberg, è il caso di isolare due ordini di problemi: uno tecnico-normativo e uno etico.
Problemi come il multiaccounting (giocare uno stesso evento con più account contemporaneamente) e l’account sharing (condividere un medesimo account personale con più giocatori) non li hanno certo inventati gli italiani, perchè fenomeni del genere hanno iniziato ad affiorare già nei primi anni del boom del poker online.
I PRECEDENTI E IL CASO “TheV0id’ – Ma proprio PokerStars ha dimostrato negli anni una grande risolutezza nel porvi un freno, una risolutezza che ha poi contribuito ad accrescerne la fama di leader mondiale. Nella lista dei giocatori che si sono resi autori di multiaccounting c’è gente come Sorel Mizzi, Josh Field, Brian Townsend e Justin Bonomo, tutti puniti con ban a vita da PokerStars.
Ma il caso “di scuola” resta quello di The V0id, giocatore che vinse il WCOOP Main Event nel settembre 2007 per 1,3 milioni di dollari. Si scoprì molto presto che si trattava di Mark Teltscher, giocatore inglese vincitore di uno dei primi EPT a Londra e in seguito runner up anche a Barcellona. Il problema era che Teltscher aveva già un account e giocò quel torneo anche con l’account “The V0id”, che in realtà era intestato alla sorella Nathalie.
I soldi furono confiscati, TheV0id bannato a vita dal sito e il payout ridistribuito, con tutti i giocatori che scalarono di una posizione in avanti e ka$ino che diventò il campione WCOOP a tavolino (al tempo ne parlavamo qui).
In seguito, Nathalie Teltscher intentò causa a PokerStars, salvo poi ritirare le accuse durante il procedimento.
L’affare “TheV0id” da un lato fu un duro colpo per la reputazione del poker online (peraltro negli stessi giorni veniva fuori anche lo scandalo ‘superuser’ su Absolute/Ultimate Bet), ma dall’altro rappresentò un precedente fondamentale e soprattutto un fortissimo deterrente per tutti gli aspiranti imbroglioni.
ITALIA A MANI LEGATE – Per tornare ai giorni nostri, il vero problema della realtà italiana è che PokerStars.it, di fronte a un eventuale caso simile, non potrebbe in alcun modo reagire come fece PokerStars.com quasi 6 anni fa. A quei tempi la room non doveva rispondere direttamente alle varie legislazioni nazionali (la causa della Teltscher si tenne infatti in un tribunale dell’Isola di Man), mentre oggi la stessa acquisizione di una licenza AAMS vincola indissolubilmente ciascun operatore alla legge italiana. Quest’ultima non prevede un nessun caso la confisca del denaro per condotta irregolare.
Ciò significa, di fatto, che PokerStars e tutte le altre room hanno le mani legate e non possono in alcun modo applicare l’unico deterrente possibile per chi ha in mente di attuare comportamenti fraudolenti come il multiaccounting: la perdita del denaro. Fino a che non si risolverà questo nodo, difficilmente si potrà venire definitivamente a capo della problematica.
Analogamente, è impossibile pensare a ipotesi restrittive delle libertà individuali, come ad esempio non permettere a madri, padri, sorelle, fratelli, cugini, zii e quant’altro di iscriversi ad una poker room, o peggio ancora permettere l’utilizzo di un account da un unico IP.
FINAL TABLE LIVE PER IL SUNDAY MILLION? – Tra le soluzioni proposte in questi giorni, sul forum e sui social network, ci sono ipotesi suggestive come ad esempio fare disputare il tavolo finale del Sunday Million dal vivo, in modo da scoraggiare pratiche come quella di iscriversi ad un torneo con l’account dello zio 75enne. Ipotesi suggestiva, ma che forse snaturerebbe un torneo che è nato e dovrebbe rimanere online, oltre ai costi aggiuntivi per trasferte, allestimento e le difficoltà eventuali per i giocatori a prendere ferie dal lavoro.
Si è letto anche di possibili controlli a sorpresa da parte di PokerStars in caso del raggiungimento di tavoli finali in eventi divisi in più giorni. Anche questa, però, pare un’ipotesi poco praticabile – e dispendiosa.
SCIOPERO? NON SERVE – Altri ancora propongono ipotesi già sentite come quella dello “sciopero degli MTT”, un’astensione di massa che faccia sensazione, causando l’annullamento di un torneo famoso o cagionando grosse perdite in denaro alle room organizzatrici. Anche questa non è una buona idea per due ragioni. In primis, la percentuale di giocatori coinvolti sarebbe sempre troppo bassa per avere successo. In secondo luogo è impensabile chiedere alle room di forzare le leggi istituendo una sorta di stato di polizia o invadendo il privato dei propri clienti, men che meno in un periodo in cui i fatturati del settore patiscono una pericolosa flessione. “We are poker rooms, not samurais”, potrebbe essere la risposta in una versione riveduta e corretta di un celebre motto pokeristico.
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Si possono fare decine e decine di ipotesi, ma in mancanza di una normativa ad hoc e di un organismo che tuteli gli interessi dei giocatori (problema antico, ahinoi), tutto è affidato alla moralità dei singoli. E qui entriamo nel secondo ordine di problemi a cui si accennava prima: quello etico.
Sì, perchè la verità è che se da un lato le room non sono esenti da colpe e magari si trincerano dietro l’alibi (reale) della vacatio legis, è altrettanto vero che non ci si può sempre aspettare che siano gli altri a dover fare qualcosa, magari intensificare i controlli perchè noi decidiamo di fare il nostro comodo.
L’ETICA A TARGHE ALTERNE – “La mia libertà finisce dove inizia la vostra”, recita una celebre citazione che racchiude con felice sintesi l’essenza della Democrazia. Senza addentrarsi in soporiferi pistolotti sull’Italia di oggi, è chiaro che se il c.d. “mondo reale” è tendenzialmente sempre più egoista e meschino, da una simile involuzione non può certo ritenersi esente il mondo del poker, nel quale contano sì le skills e le abilità mentali ma in cui il denaro gioca un ruolo troppo importante per pensare che non ci sia qualcuno che cerchi di approfittarne.
La quintessenza del poker è fatta di giocatori che partono con chance uguali e cercano di dominare gli avversari a livello tecnico, strategico e mentale. Che ci sia chi cerca scorciatoie illecite è purtroppo nelle cose, per le ragioni appena accennate. L’unico argine possibile è dunque la tenuta etica della parte “sana” dei giocatori.
“E’ UNO SCHIFO, MA IO FAREI LO STESSO” – Quello che sto leggendo in questi giorni in giro per la rete è però avvilente. Molta, troppa gente è pronta a gridare allo scandalo, salvo poi comportarsi allo stesso modo di quelli contro i quali si è puntato il dito fino a ieri. Troppi vedono il marcio solo nei comportamenti altrui, ignorando persino l’esistenza di un oggetto chiamato specchio.
Inutile invocare il gioco “fair”, se poi ci si dichiara pronti a fare uno strappo, e magari farsi assistere o addirittura vendere il proprio account a qualche top player in caso di day 3 di un evento ricchissimo come il Sunday Million. Troppo facile, davvero.
L’EGOMANIA E I REI CONFESSI INCONSAPEVOLI – Lo spettacolo avvilente prosegue con giocatori che, tra il serio e il faceto, dichiarano di essere pronti a comprare account fra i 27 rimasti del “Million”. Ma anche con gruppi di poker pro che non fanno mistero di aver “giocato in società”.
A ben vedere, l’evidente debolezza di valori di fondo si va poi a scontrare con una classica caratteristica del poker pro: l’egomania. Una conseguenza divertente – e insieme avvilente – è vedere il giocatore Pinco Pallo che, dopo aver vinto un grosso torneo usando un account altrui, non resiste alla tentazione di farlo sapere al mondo e posta la notizia sul proprio profilo Facebook, magari con post sibillini e allusivi che però tradiscono una implicita confessione. O come quegli strani “brag di gruppo”, in cui diversi giocatori reclamano una sorta di paternità su una vittoria – che però dovrebbe essere di un singolo.
Una, dieci, cento gioiose confessioni, senza la minima consapevolezza di aver dato vita al più classico e strambo degli ossimori. E di aver fatto una figura di m****.
Pecunia non olet, obietterà qualcuno di voi. E allora cosa ci siete arrivati a fare, in fondo a questo articolo?