Tommaso Castellano è uno dei personaggi del nostro mondo che chi vi scrive ha conosciuto parecchi anni fa, quando il poker "moderno" conosceva il suo periodo di massima espansione e lui perdeva rare volte l'occasione di partecipare ad un evento live.
Ultimamente ha ricominciato a farsi vedere in qualche tappa del circuito live, soprattutto di PokerStars e, a parte tutto ciò che ha da dire ( e come scoprirete, da fare ), l'occasione di fargli un'intervista sembrava troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.
In questo Articolo:
Intervista a Tommaso Castellano

Ciao Tommaso, ti diamo il benvenuto su Assopoker. Hai lasciato il poker ma, per chi ci è stato dentro, il tavolo verde non sparisce mai davvero. In che modo il poker è ancora dentro di te oggi?
Ho lasciato il poker nel 2016-2017, dopo un periodo molto difficile della mia vita. Lo racconto proprio all’inizio del mio libro, in uscita il 9 settembre, perché quel gioco mi ha cambiato davvero l’esistenza. Ma dire che ho lasciato il poker è una mezza verità: il poker, come il pugilato, non ti lascia mai davvero. Chi è stato un pugile lo resta per sempre, nei riflessi, nel modo di pensare, nei gesti involontari. Ecco, il poker fa lo stesso: entra nel tuo modo di ragionare, di osservare, di decidere.
Anche nella vita di tutti i giorni — quando tratto per un’auto, quando faccio la spesa — mi accorgo che sto ancora calcolando odds, analizzando dinamiche, leggendo i segnali. E nel lavoro che ho costruito con Scuolapercani, il poker è stato fondamentale: prima multitablavo su PokerStars, oggi multitablo con i cani nelle lezioni collettive. Il poker ti allena a vedere più degli altri, a prendere decisioni rapide sotto pressione. Questo ha reso possibile tutto ciò che ho creato: gestione dei social, selezione del personale, scelte imprenditoriali, strategie… Il poker è sempre stato lì con me.
Dopo anni in cui ho ricostruito me stesso, sono tornato anche a giocare, con una consapevolezza diversa. Il distacco mi ha migliorato: ho studiato, guardato oltre 100 ore di video, analizzato tornei degli EPT, approfondito ogni aspetto del gioco. Ho fatto pochissimi tornei — sei, sette, forse otto — eppure sono riuscito a ottenere risultati che prima non immaginavo. Ho fatto sesto al Super High Roller vincendo 27.000€, 86º all’EPT di Montecarlo su 1200 giocatori dove ho giocato contro leggende come Patrik Antonius, vincendo 13.500€, primo in Liechtenstein con una vincita da 11.500€, altri ITM come l’11° posto all’High Roller del PokerStars Open. In totale, con pochi tornei, ho vinto tra i 60.000 e i 70.000 euro. Sono molto contento, ho un conto aperto con questo gioco, che voglio si concluda con la mia vittoria di un EPT o delle WSOP.
I risultati recenti
Come mai pensi di essere riuscito ad ottenere questi risultati proprio ora dopo anni di inattività?
La verità è che per giocare un buon poker serve serenità. Non solo tecnica o strategia, ma una stabilità interiore che ti permetta di prendere decisioni lucide, senza interferenze emotive. Se dentro di te hai caos, anche le tue giocate lo rifletteranno. Il tuo atteggiamento cambia, il modo in cui ti approcci alle situazioni si altera, e spesso neppure te ne rendi conto.
Oggi ho una serenità economica, personale e professionale che prima non avevo. Ho una vita costruita, delle fondamenta solide. Questo mi permette di sedermi al tavolo per il piacere di giocare, non per bisogno. Posso perdere senza che cambi nulla nella mia vita, e questo fa tutta la differenza. Mi sono avvicinato a questi tornei con leggerezza, per divertimento, per vivere un’esperienza. Ed è proprio quando non hai nulla da dimostrare che spesso tiri fuori il meglio.

Il poker è spesso raccontato come passione totalizzante, ma alcuni comparti della nostra società lo identificano come una sorta di trappola. Secondo te quando smette di essere “gioco” e diventa “peso”?
Credo che il poker smetta di essere un gioco nel momento in cui ti impedisce di vivere la tua vita in modo equilibrato. Ho incontrato tantissimi giocatori, anche vincenti — all’EPT e in altri eventi recenti — che però non possono dire di vivere questo ambiente in maniera sana. Quando anche chi vince finisce a giocare alla roulette o alle macchinette, capisci che non sta facendo veri passi avanti nella propria vita.
Per me il poker resta un’esperienza positiva solo finché ti aiuta a stare bene, a crescere, a migliorare te stesso dentro un quadro di vita più ampio. Appena smette di essere una parte della tua vita e inizia a diventare la tua vita, allora il gioco, il sogno, può facilmente trasformarsi in un incubo.
Tommaso Castellano: "Il poker ti costringe a migliorarti"
Hai mai avuto la sensazione che il mondo del poker ti chiedesse di essere qualcun altro per funzionare meglio al tavolo? E oggi che lavori con i cani, ti senti più te stesso?
Domanda meravigliosa. La verità è che il poker mi ha obbligato a migliorarmi, a cambiare, a mettermi in discussione. E questo non lo considero un tradimento di me stesso, anzi: credo che dietro il “voglio essere me stesso” si nasconda spesso un alibi per restare fermi, per non evolvere. La vita ci costringe, prima o poi, a cambiare per affrontare le sfide che ci mette davanti. E se non lo fai, soccombi.
Il poker mi ha chiesto di essere qualcun altro. E io ho accettato la sfida: ho studiato, lavorato, mi sono evoluto. È stato forse il regalo più grande che mi abbia fatto. E oggi, nel lavoro con i cani, tutto quel bagaglio — fatto di osservazione, disciplina, gestione della pressione e strategia — è un valore fondamentale. È ciò che mi ha permesso, insieme al mio team e alla mia comunità, di ottenere risultati straordinari.

Dal bluff al guinzaglio: il passaggio sembra radicale. Eppure entrambi i mondi richiedono controllo, pazienza, osservazione. Cosa hai “trasportato” dal poker alla tua nuova vita?
Tutto. Ho trasportato letteralmente tutto. La capacità di leggere le situazioni, il linguaggio del corpo, la gestione delle emozioni, l’analisi rapida, il prendere decisioni importanti in tempi brevissimi… ogni competenza maturata nel poker è viva e presente nel mio lavoro attuale.
Come ho già detto: è come se non avessi mai smesso davvero di giocare. Ho solo cambiato tavolo. I tavoli oggi hanno un’altra forma, un altro colore… ma in fondo gioco ancora a poker, ogni giorno. Le regole sono diverse, magari c’è meno varianza, ma la struttura mentale è la stessa. Un torneo di poker è un surrogato della vita — e anche dell’imprenditoria. In particolare per chi, come me, svolge un’attività con un forte impatto sociale.
Il poker mi ha offerto strumenti, visioni, approcci che mi hanno permesso di ideare qualcosa di nuovo e innovativo anche nel mondo della cinofilia. E questo, oggi, fa tutta la differenza.
I social sono spesso pieni di fuffa. Tu invece mostri il lavoro quotidiano, anche le difficoltà. È un’eredità del poker questo approccio “senza filtri”?
Sì, probabilmente nasce anche da lì. Il periodo in cui ho grindato online, con Marco Bognanni come coach, mi ha insegnato una lezione fondamentale: nel poker, come nella vita, tutti perdiamo. Anche i giocatori più forti del mondo, se giocano tornei, hanno collezionato molte più sconfitte che vittorie. E lo stesso vale nella vita reale. Chi oggi vediamo come vincente, spesso ha attraversato umiliazioni, fallimenti, delusioni profonde.
Quando capisci davvero questo, smetti di vergognarti. Io ho raschiato il fondo del barile. Ho conosciuto la sconfitta più atroce. E proprio per questo sento una responsabilità: quella di lanciare un messaggio autentico, che possa ispirare chi è nel buio.
Come già detto guido una scuola che si chiama “Scuolapercani”, ma in realtà formiamo i proprietari, formiamo le persone. E chi è in una posizione come la mia ha il dovere morale di trasmettere verità. Nient’altro. Mostrare solo la parte bella della propria vita è facile, ma anche profondamente falso. La verità invece è dura, ma è l’unica cosa che può cambiare le cose.
Viviamo in un mondo che cerca di nascondere il negativo, ma è proprio la capacità di conviverci — e di affrontarlo — a fare la differenza tra un uomo qualunque e un grande uomo. O, per restare in tema, tra un giocatore mediocre e un vero vincente.
Poker e lavoro
Insegni ai cani, ma anche ai padroni. C’è più disciplina o improvvisazione nel tuo lavoro oggi? E nel poker quale delle due ti ha aiutato di più?
Chi vive la vita come la vivo io si muove in uno stato che sembra improvvisazione, ma improvvisazione non è. È, in realtà, un’analisi rapidissima di tutti i dati e meccanismi che entrano in gioco in una situazione specifica. È più facile avere un approccio standardizzato — nel poker, ad esempio, giocare GTO è più comodo che affrontare ogni mano in modo esploitativo — ma io non conosco altro modo di vivere o di giocare se non trattando ogni situazione come un’avventura unica.

L’improvvisazione, quella vera, è ciò che dà sapore tanto al poker quanto alle giornate che vivo oggi. Certo, serve una base solida di disciplina, una struttura di riferimento. Ma in un mondo che cambia alla velocità dei social, dell’impresa, delle sfide quotidiane, se non sei capace di adattarti al volo, di reinventarti, di cambiare strategia in tempo reale, sei destinato a soccombere.
Nel mio lavoro, oggi, convivono entrambe: la disciplina come fondamenta, l’improvvisazione come arte… perché chi non è in grado di improvvisare in questo mondo è destinato a morire.
Il futuro
Se domani qualcuno ti proponesse un ritorno al poker con bankroll assicurato e coaching top… cosa risponderesti?
Risponderei: no, grazie.
La storia della mia vita mi ha insegnato che tutto ciò che ho fatto, l’ho costruito con le mie mani. E così sarà anche nel mio percorso nel poker. Giocherò le WSOP, giocherò gli EPT, arriverò a vincere, e diventerò uno dei giocatori più vincenti della storia italiana… ma lo farò da solo, a modo mio.
So già che queste mie parole faranno sorridere qualcuno, e questo mi fa molto piacere, perché il giorno della vittoria sarà ancor più dolce…
In questi anni mi sono preso tante rivincite, tantissime… proprio davanti a chi mi aveva sempre sottovalutato
Succederà anche nel poker, quando sarà il momento giusto, magari tra 10 - 15 anni, ma succederà, perché è scritto nel mio destino.
E succederà attraverso un percorso personale, perché io rendo al massimo quando devo rispondere solo a me stesso.
Quando invece devo rendere conto a qualcun altro, non sono più me stesso. Voglio essere libero, e lo sarò sempre.
E quanto al coaching: potrebbero offrirmi qualsiasi “mostro sacro”, ma non accetterei. Per me esiste un solo coach, così come per Mike Tyson esisteva solo Cus D’Amato. Il mio è Marco Bognanni.
E se un giorno mi ritroverò a un tavolo finale importante, so già chi sarà seduto accanto a me: nessuno, tranne lui. Perché nel mio destino, nella mia storia, è scritto così. E io, quella storia, la onorerò fino in fondo.