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Umberto Eco

Umberto Eco, la cultura è in lutto: nei suoi libri parlò anche di poker

Il mondo della cultura non solo italiana, ma mondiale, in queste ore sta piangendo la scomparsa di Umberto Eco, forse il più noto scrittore nostrano contemporaneo al di fuori dei confini nazionali.

Altri meglio di noi lo hanno già ricordato, ma nel nostro piccolo vogliamo onorare la memoria di Umberto Eco raccontandovi qualcosa che forse non sapete: in uno dei suoi libri, parlò anche del poker.

Umberto Eco, che giustamente La Stampa definisce come “l’uomo grazie al quale la cultura è diventata un best seller”, era meglio noto per essere uno scrittore e filosofo, autore di quel capolavoro sempiterno, tradotto in decine di lingue, che è “Il nome della rosa” – da cui è tratto anche un celeberrimo film con Sean Connery.

Ma Umberto Eco era anche, e forse prima di tutto, un semiologo, cioè uno che studia i segni e la loro significazione. Per spiegare, utilizzeremo il chiaro esempio che riporta Wikipedia: “ Per significazione si intende ogni relazione che lega qualcosa di materialmente presente a qualcos'altro di assente (la luce rossa del semaforo significa, o sta per, ‘stop’)”.

Umberto Eco e la semiotica spiegata con il poker

Umberto Eco e il poker, dicevamo. Proprio in un suo libro sulla semiotica, “Sugli specchi ed altri saggi” (1985), l’autore utilizza il poker per spiegare la strategia del discorso. Ma è in un altro libro, sempre sulla semiotica, che Eco fa un uso più intensivo del gioco del poker come pretesto per spiegare un concetto.

In “La struttura assente” (1968) Umberto Eco prende ad esempio i giochi di carte, come bridge e appunto poker, per spiegare i concetti di codice e sottocodice.

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Vi riportiamo qui il passaggio: prendetelo come il nostro piccolo omaggio a uno degli uomini di cultura più valenti che il nostro Paese abbia mai prodotto.

“È chiaro che un codice di gioco (poker, bridge, ramino) isola solo alcune possibili combinazioni tra quelle permesse dalle carte, ma sbaglierebbe chi credesse che si potessero scegliere solo quelle. Ed è vero che le 53 carte costituiscono già una scelta operata nel continuum dei valori posizionali possibili – ma è chiaro che con questo codice si possono costruire sottocodici diversi (…)

Il vero codice che presiede ai giochi di carte è una matrice combinatoria che può essere studiata ed è studiata dalla teoria dei giochi (…)

Se il lessico del poker è reso possibile dall’attribuzione di significati dai a una particolare articolazione di più carte (tre assi di colore diverso, uguale a “tris”; quattro assi uguale a “poker”), dovremmo considerare le combinazioni di carte come vere e proprie “parole” significanti, mentre le carte che si combinano sono elementi di seconda articolazione (…)

Ma la carta è il termine ultimo, inanalizzabile, di una artico labilità possibile? Se il 7 costituisce valore posizionale rispetto al “sei” (di qualsiasi seme) e rispetto al 7 cosa è il cuore singolo, se non l’elemento di una ulteriore e più analitica articolazione?

La prima risposta possibile è che il giocatore (colui che “parla” la “lingua” delle carte) di fatto non è chiamato ad articolare l’unità di seme, ma se la trova già articolata in valori (asso, due… nove, dieci); ma la riflessione, se appare logica per chi gioca a poker, appare già più discutibile per chi gioca a scopa, in cui si sommano i punti, e in cui dunque l’unità di misura è l’unità di seme (anche se le addizioni hanno addendi preformati)”.

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