Continuano a suscitare scalpore le dichiarazioni di Andy Bloch che ha voluto svelare al mondo i retroscena dell’affaire Full Tilt Poker: dai contrasti interni tra i soci, al fallimento dei tentativi di risanamento. Una volta sospesa la licenza da parte dell’AGCC, agli azionisti non rimaneva che un'unica drammatica soluzione: vendere la società. Ma a che prezzo? Nel luglio del 2011 iniziano a ballare cifre e cordate.
"Solo alcuni azionisti – racconta Bloch - erano ancora convinti di potercela fare ma la cosa importante era il rimborso del 100% dei players. Abbiamo ricevuto molte offerte, all'inizio il board ha chiesto un miliardo di dollari... per poi calare le pretese”.
Ma c’era un altro miliardo che rischiava di far saltare l’affare: “Il problema era l'incertezza legata alla multa contestata dal DoJ. Nessuno era disposto a trattare con il DoJ e sono convinto che se in quel periodo, i procuratori fossero stati più disponibili al dialogo, alla fine avrebbero ottenuto una soluzione migliore per tutti. Nell'incertezza della multa non era facile trattare".
Alla fine la trattativa si è conclusa per una cifra comunque importante: PokerStars.com è riuscita a raggiungere un accordo con il DoJ che gli costerà 731 milioni di dollari. Bloch si sbilancia: "Sono convinto che Stars alla fine farà dei buoni profitti grazie a questa operazione. Non sarei sorpreso se dopo un paio d'anni Full Tilt Poker valesse più di quanto pagato da PokerStars per questa operazione".
Bloch rivela anche i suoi dubbi sull'affare Tapie: "non ero convinto, non c'erano garanzie al 100% sul rimborso dei players. Teoricamente poteva anche chiudere FTP ed affittare il software".
L'ex pro e azionista di Tilt ha un rimpianto: "sarei dovuto essere più presente nelle fasi gestionali. E' lo stesso rimpianto di Howard Lederer: quando nel 2008 ha lasciato Dublino, mai si sarebbe immaginato una gestione finanziaria del genere". In poche parole Bloch è convinto che il Lederer non fosse a conoscenza delle problematiche legate alla gestione dei flussi e punta il dito contro il direttore finanziario (CFO).
Sull’amministratore delegato Raymond Bitar ha un'idea precisa:"gli azionisti erano scontenti e non avevano fiducia in lui (in particolare John Juanda, ndr). Ai soci era stato promesso che dopo tre anni gli utili distribuiti sarebbero aumentati. Ed invece ciò non è accaduto e molti erano scettici sul suo operato e non avevano fiducia... A fine 2010, inizio 2011, vi era una certa animosità nei suoi confronti e, con ogni probabilità, lui avvertiva questo tipo di pressione ma con i soci bluffava sempre: "se avete dei dubbi venite a Dublino, i libri sono a disposizione di tutti...".
Terza parte - fine