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JC Alvarado

JC Alvarado: “Mia nonna mi ha insegnato a giocare. Quanti errori ho commesso...”

Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo, scriveva il grande Fernando Pessoa. Una perla di saggezza che spesso trova conferma nella quotidianità, e che sicuramente calza a pennello per quanto riguarda JC Alvarado, il giocatore di poker più vincente nella storia del Messico.

In carriera, il pro player centroamericano ha vinto quasi 4,5 milioni di dollari. Non ha mai centrato un titolo prestigioso, come un braccialetto WSOP o un titolo EPT, anche se nel 2012 sfiorò il Super High Roller da €50.000 all’EPT Barcellona, dove fu battuto soltanto da Dan Smith. Alvarado ha riavvolto il nastro della sua vita in un’intervista pubblicata sul canale YouTube di Paul Phua, che potete trovare nella sua interezza a piè di pagina.

 

 

La nonna… gambler

Tornando alla frase di Pessoa, che potremmo riassumere con “siamo ciò che vediamo”, JC Alvarado non poteva che diventare un giocatore di poker professionista, visto l’esempio che ha avuto sin da piccolo in… sua nonna.

“Da quando ero bambino, cercavo di scommettere su tutto, con chiunque”, ha raccontato il messicano. “Dicevo tipo ‘scommettiamo che riesco a lanciare questo oggetto dentro a quell’altro?’. La passione per il gioco la devo a mia nonna”.

Un personaggio davvero particolare, non c’è che dire: “Non so quanto ci sia di leggendario e quanto di vero, ma tutta la mia famiglia parlava di lei, cresciuta nel circuito degli home games messicani anni 50 e 60. ‘Eh, la nonna oggi ha perso una macchina’, dicevano. Oppure ‘Oggi la nonna ha vinto due macchine’, cose del genere”.

JC Alvarado parla con emozione della nonna, che oggi non c’è più: “Quand’era ormai vecchia e semi-inferma, andavo a trovarla nel suo ranch, per farle una sorpresa… e la trovavo a giocare su PokerStars. Era diventata senile verso la fine, eppure mi raccontava tutte le mani che aveva giocato.

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JC Alvarado lasciato in mutande – e non in senso figurato

Con una nonna del genere, era difficile che il tarlo del gioco non si insinuasse nella personalità di JC Alvarado.

“Un’estate vado in Messico dai miei cugini, avrò avuto 13 anni”, spiega il pro player. “I messicani adoravano i vestiti americani, sconfinavano solo per andare a fare shopping. Io ero fiero dei miei bei vestiti, e insomma vado da mio cugino che ha questo tavolo da biliardo in una stanza. C’erano lui e altri suoi amici, tutti di 16-17 anni. Insomma, inizialmente mi fanno vincere, poi cominciamo a scommettere e finisce che perdo tutti i miei vestiti, tutti.

A soli 13 anni, JC non capiva “il valore del lavoro, dei soldi che mia mamma aveva speso per comprarmi quegli abiti. Ovviamente tornai a casa e lei si arrabbiò molto. Mia zia fece il giro dei cugini e degli amici, chiedendo di restituire i miei vestiti.

Il gioco ha caratterizzato tutta la vita di Alvarado, nel bene e nel male. JC ha ammesso di aver commesso diversi errori: “Come tanti, anche io ho le mie storie in cui mi sono giocato troppo bankroll e ho vinto tanto, ma anche storie in cui ho perso tutto. L’aspetto positivo di tutto ciò? Probabilmente che sono ancora qui per raccontarlo”.

La video intervista

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