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Doyle Brunson, il padrino del poker

Difficilmente si diventa leggende per caso, e la vita di Doyle Brunson ha sicuramente tutti gli ingredienti necessari per passare nella storia di quello che è il suo mondo, quello del poker.

Il prossimo 11 novembre uscirà non a caso la sua autobiografia, intitolata “The Godfather of Poker”, e che in ben 372 pagine raccoglie una serie di aneddoti sulla vita di Doyle Brunson, oltre a una serie di foto inedite che sicuramente non mancheranno di attirare l’attenzione degli appassionati.

Potrete così leggere di come Brunson nel 1998 dovette subire una rapina nella sua abitazione proprio il giorno dopo aver vinto il suo ottavo braccialetto alle WSOP, o di come anche suo padre sia stato un giocatore di poker per molti anni, anche se ha sempre cercato di proteggere la famiglia da questa sua professione.

Infatti, come anche il titolo del libro vuole sottolineare, cinquant’anni fa giocare a poker negli Stati Uniti era considerata un’attività ai limiti del lecito, e solo persone socialmente emarginate o la cui compagnia non era raccomandabile potevano pensare di farne una professione. Almeno, questa è l’idea che circolava allora, così diversa da quella attuale, dove i campioni sono ammirati e spesso si cerca di emularne in qualche modo anche le gesta.

Ciò nonostante, una vera leggenda non può essere tale se non vi sono anche dei capitoli dolorosi. Nel caso di Brunson, oltre a diversi lutti familiari fra cui quello del padre quando aveva 25 anni, vi è stato lo scoglio del cancro, quando aveva circa trent’anni ed era in attesa di diventare padre. Il suo spettro si chiamava melanoma, e la sua situazione pareva talmente grave da rendere un intervento chirurgico troppo pericoloso. Tuttavia, alla fine è stato proprio un intervento a salvargli la vita. Durato ben 15 ore, gli ha permesso miracolosamente di sopravvivere e raccontare anche questa storia.

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Ma “Texas Dolly” non sarebbe lui se una mano apparentemente assurda come 10-2 non gli avesse consegnato per ben due volte il titolo di Campione del Mondo alle WSOP, nel 1976 e nel 1977. Ma non si può dire che questo lo renda particolarmente orgoglioso: “Non sono molto felice che quella mano abbia preso il mio nome, non è certo una mano di qualità”. E su questo, difficile dargli torto.

Uno scatto dal celebre spot di Doyle Brunson insieme a Pamela Anderson

Ma in fondo, Doyle Brunson ha ben altro di cui andare fiero: 10 braccialetti WSOP di cui due Main Event, un titolo WPT, assieme a molti tavoli finali e numerosi piazzamenti. Senza contare le interviste, la partecipazione a importanti trasmissioni televisive come “High Stakes Poker”, e perfino una pubblicità con Pamela Anderson che sicuramente più di un uomo gli invidia.
Di certo, non una vita né una carriera qualunque per Doyle, e se risulta difficile racchiudere una vita intera in un libro non si può dire che – ancora una volta – “Texas Dolly” non ci abbia provato.

"Assopoker l'ho visto nascere, anzi in qualche modo ne sono stato l'ostetrico. Dopo tanti anni sono ancora qui, a scrivere di giochi di carte e di qualsiasi cosa abbia a che fare con una palla rotolante".
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