Invitato a presenziare ad un seminario di poker, Doyle Brunson ha dovuto soddisfare la curiosità dei molti partecipanti raccontando di quale fosse stato il più grande fold della sua carriera. Con un rapido tuffo nella memoria, Doyle è dunque tornato indietro nel tempo fino al 2006, quando raggiunse il final table del torneo di HORSE alle World Series of Poker.
Va innanziutto precisato che, nonostante l’evento fosse a specialità mista, la Harrah’s - ritenendo che il pubblico televisivo non avrebbe gradito il dover seguire mani di Omaha Hi/lo o di Seven Card Stud - aveva deciso che, una volta arrivati al tavolo finale, il gioco sarebbe stato il No Limit Hold’em.
Ripercorrendo dunque le fasi di gioco, questo è quanto è accaduto tra i due: Doyle Brunson si trova in early position e, dopo aver ricevuto q q , opta per un rilancio standard di 3 volte il Big Blind. Chip Reese, sedutogli di fianco, dà una veloce occhiata alla sue carte che si rivelano essere k k e fa uno smooth call.
David Singer, dal bottone, si adegua con 6 6 . Il flop porta 2 3 7 e Brunson punta subito 220.000$. Dopo alcuni secondi di attesa, Reese annuncia il raise mettendo nel piatto 440.000$. Singer folda e la parola torna di nuovo a Doyle. Ma quando probabilmente in tanti avrebbe rilanciato ancora in quella situazione, Brunson dice invece a Chip di essere sicuro che lui abbia una qualche coppia ma di non poter determinare con certezza quale possa essere. E quindi, dopo aver riflettuto ancora per qualche istante, butta deciso le sue carte verso il muck!
Ma nel tragitto aereo una delle due si gira e Reese chiede all’amico “Avevi QQ?". Doyle fa cenno di sì e Chip non può che far altro che aggiungere “Good lay-down brother”.
Ripensandoci ancora adesso, Brunson ha poi confessato che “Molti ritengono che io abbia fatto una gran giocata, ma in verità secondo me ho fatto un errore.”
Considerando Chip Reese - che ricordiamo è purtroppo prematuramente scomparso all’età di 56 anni - l’unico in grado di batterlo a poker, Doyle ha infatti spiegato che il suo semplice call al raise pre-flop, considerando i moltissimi anni passati ai tavoli insieme, non poteva significare altro che KK o AA. “Se il flop non portava una Q o un qualche genere di progetto di scala, la mia mano era praticamente spacciata. Avrei dovuto fare solo check al flop” ha poi concluso Doyle. “Puntare significava lasciare a Chip la possibilità di rilanciare e prendersi il piatto”. Checchè ne pensi “Texas Dolly”, comunque, siamo tutti sicuri che a moltissimi altri giocatori quella mano sarebbe costata molto ma molto di più.