La Corte di Giustizia Europea ha pubblicato una sentenza molto critica nei confronti delle leggi sul gioco in vigore in Austria. Un altro precedente significativo che potrebbe influenzare in futuro le dinamiche normative all’interno di tutta l’Unione.
I giudici della CGE hanno posto dei paletti rigidi ai legislatori: sarà sempre più difficile per gli stati membri giustificare l’adozione di misure restrittive nei confronti di operatori che raccolgono gioco online, con licenze “europee”.
La sentenza riguarda il procedimento Pfleger ed è focalizzata proprio sulla legittimità della normativa austriaca sul gambling, ai sensi dell’articolo 56 del Trattato dell’Unione Europea. La Corte è stata fedele, anche in questo caso, ai precedenti orientamenti e consolida la sua giurisprudenza.
Per i giudici, la normativa statale deve perseguire realmente l’obiettivo – in modo sistematico e coerente - di tutelare i giocatori, limitare i fenomeni di ludopatie e contrastare l’infiltrazione di organizzazioni criminali.
Per la Corte è possibile che sia derogato il principio di libera prestazione di servizi nel gioco online, ma solo se giustificato da un’azione sistematica e coerente, a tutela dei consumatori e per frenare il fenomeno del gioco patologico. Facile a parole, ma difficile da dimostrare dinanzi alla magistratura europea (almeno a giudicare dalle precedenti sentenze sempre molto critiche verso i “Monopoli” statali).
Tali misure devono inoltre soddisfare i requisiti derivanti dal principio di proporzionalità.
In ogni caso, non deve essere un intervento di mero interesse fiscale. In poche parole, se la misura è volta ad assicurare all’erario maggiori entrate, non può essere applicata.
Il Governo del Regno Unito – ad esempio - ha introdotto una nuova legislazione che prevede sanzioni per gli operatori che non raccolgono gioco con licenza rilasciata da Londra. In questo caso però il Governo britannico sostiene di non violare i trattati europei, perché tale normativa ha il fine di tutelare e proteggere i consumatori di Sua Maestà.
In caso di una futura contestazione, però la Gran Bretagna dovrà dimostrare dinanzi alla CGE lo scopo di questa azione. Un mero aumento delle entrate fiscali dello Stato non può giustificare l’approvazione di una misura restrittiva e sarebbe incompatibile con il diritto dell’Unione Europea.
La Corte ha precisato inoltre che gli operatori non possono essere oggetto di sanzioni, nel caso di violazione di un sistema normativo ritenuto incompatibile con l’articolo 56 del Trattato. In estrema sintesi: se la normativa va contro i principi europei, gli operatori hanno le mani libere e non possono essere sanzionati.
Anche per questo motivo, ed in ragione dell’ennesima sentenza della CGE, sarebbe opportuno che la Commissione Europea approvasse una disciplina uniforme all’interno del mercato unico, con regole chiare e comuni per tutti gli stati membri. Ma a Bruxelles la pensano diversamente: l’Esecutivo comunitario ha sempre ribadito l’esistenza di una riserva di legge da parte degli stati per disciplinare il mercato interno, salvo poi intervenire con sanzioni pensanti: al momento sei paesi sono sotto indagine, per incompatibilità della normativa sull’e-gaming contraria ai principi europei.