La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4632 del 2024, ha stabilito un principio destinato a fare scuola: la gestione di un casinò, come quello di Sanremo, non è un’attività privata qualunque, ma un servizio pubblico con conseguenze giuridice dirette. Una decisione che rilegge in chiave moderna il confine — sempre sottile — tra impresa e Stato, tra libertà economica e interesse collettivo, ma soprattutto tra concessionari e licenziatari.
In questo Articolo:
- 1 Il caso del Cartaio al Casinò di Sanremo
- 2 Il ruolo del cartaio
- 3 La posizione del tribunale del Riesame
- 4 Lo snodo giuridico: pubblico o privato?
- 5 Le motivazioni: un servizio che tutela l’interesse collettivo
- 6 La sentenza: il ritorno della funzione pubblica nelle sale da gioco
- 7 I casinò concessionari svolgono una funzione pubblica
Il caso del Cartaio al Casinò di Sanremo
Tutto nasce nell’ottobre 2022, quando la direzione del Casinò di Sanremo nota anomalie nei risultati di alcune partite di Punto Banco. Le vincite di un gruppo di giocatori provenienti da Torino – per un totale stimato di circa 300.000 euro – insospettiscono i manager della casa da gioco, che decidono di allertare le forze dell’ordine.
Grazie a intercettazioni ambientali e mesi di pedinamenti, la Procura di Imperia fa emergere un sistema organizzato di manomissione dei mazzi di carte.
Il meccanismo della truffa
Inizialmente si era pensato che fosse il “cartaio” del Casinò, L.C., a segnare le carte. Le indagini successive hanno invece chiarito che erano i giocatori stessi a marcare i mazzi, con l’aiuto del dipendente del Casinò che sottraeva i mazzi originali dai locali del Casinò.
Li consegnava ai giocatori del gruppo torinese, che li “lavoravano” praticando microabrasioni sul dorso per riconoscere alcune carte chiave. Reintroduceva i mazzi truccati all’interno del Casinò, facendoli finire – a insaputa dei croupier – sui tavoli di gioco.
In questo modo i giocatori coinvolti potevano riconoscere le carte e orientare le puntate, garantendosi una percentuale altissima di vittorie.
L’operazione di polizia
Dopo nove mesi di indagini, la Polizia ha eseguito una maxi-operazione tra Torino e Imperia. Sono state coinvolte dieci persone.
Il cartaio, L.C., 58 anni, già licenziato nell’ottobre 2023, è ritenuto l’anello di collegamento tra i giocatori e il casinò (che è vittima della truffa). Gli altri indagati – tutti giocatori abituali – sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa peculato, corruzione. Ed è quindi importante la natura dell'attività giuridica del cartaio: se svolgeva un servizio pubblico, allora siamo di fronte al peculato e alla corruzione.
L’impianto accusatorio: secondo la Procura, la frode sarebbe stata organizzata e continuativa, con un vero e proprio gruppo criminale attivo almeno fino all’estate 2023. Il presunto capo dell’organizzazione sarebbe un torinese identificato con le iniziali F.R., mentre L.C. avrebbe svolto il ruolo di “facilitatore tecnico”, garantendo l’accesso ai mazzi.
Il ruolo del cartaio
Il Casinò di Sanremo – che ha collaborato sin dall’inizio con gli inquirenti – ha sospeso immediatamente il dipendente e avviato procedure interne di controllo più rigide. L’episodio ha sollevato interrogativi sulla vulnerabilità dei protocolli di sicurezza nei giochi da tavolo e sul ruolo giuridico dei dipendenti delle case da gioco, tema oggi al centro della sentenza della Corte di Cassazione che riconosce il ruolo di “incaricato di pubblico servizio” per figure come quella del “cartaio”.
Il dipendente aveva il compito di preparare, sigillare e custodire i mazzi da gioco. In cambio di denaro, ne alterava alcuni e falsificava i sigilli, consentendo così ai complici di ottenere vincite illecite.

La posizione del tribunale del Riesame
Per il Tribunale del Riesame che doveva esprimersi anche sulle misure cautelari, tuttavia, si trattava di un episodio di appropriazione indebita: un reato comune, non un reato contro la Pubblica Amministrazione. La motivazione era chiara: il casinò sarebbe un’impresa privata, e i suoi dipendenti, semplici lavoratori di un’attività commerciale.
Lo snodo giuridico: pubblico o privato?
Qui entra in scena la Cassazione, chiamata a rispondere a una domanda antica e attualissima:
«La gestione del gioco è un’attività economica come le altre, o una funzione pubblica delegata dallo Stato?»
La Suprema Corte sceglie la seconda strada. Pur riconoscendo che il casinò opera attraverso una società per azioni, i giudici chiariscono che il gioco d’azzardo non è una libera iniziativa privata, ma una attività riservata allo Stato, che può solo essere concessa a soggetti terzi.
Il principio non è nuovo, ma oggi assume un significato più profondo, in un’epoca in cui la linea tra pubblico e privato si fa labile, e le concessioni (dal gioco ai trasporti, dall’energia ai dati) diventano il cuore di un nuovo modello di economia “mista”.
Le motivazioni: un servizio che tutela l’interesse collettivo
Secondo la Cassazione, la natura pubblica del casinò non risiede nel gioco in sé, ma nella sua gestione. Dietro il tappeto verde, c’è un insieme di funzioni che toccano interessi generali:
- Tutela delle Entrate Erariali – I proventi del casinò sono considerati “entrate di natura pubblicistica”, fondamentali per le casse degli enti locali.
- Ordine pubblico e sicurezza – Un controllo rigoroso sul gioco serve a prevenire infiltrazioni criminali, riciclaggio e truffe.
- Tutela della salute pubblica – La regolamentazione dell’offerta è parte di una politica di prevenzione delle dipendenze.
È in questo contesto che il “cartaio” assume una funzione diversa: non è un semplice tecnico del gioco, ma un incaricato di pubblico servizio.
Ha autonomia, discrezionalità, e un potere di controllo che lo rende parte integrante del meccanismo di garanzia pubblica.
La sentenza: il ritorno della funzione pubblica nelle sale da gioco
La Cassazione ha quindi annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame, stabilendo che la gestione del casinò di Sanremo è a tutti gli effetti un servizio pubblico.
Ne deriva che i reati contestabili ai suoi dipendenti non sono più di natura privata (come l’appropriazione indebita), ma reati contro la Pubblica Amministrazione, come il peculato e la corruzione.
È un ritorno dello Stato, ma non nel senso classico di “statizzazione”. È piuttosto il riconoscimento che anche in un’economia aperta, il gioco – come l’energia o la sanità – non può essere lasciato solo alle logiche di mercato. L’interesse pubblico resta la cornice.
Un segnale più ampio: questa pronuncia non riguarda solo Sanremo. È un tassello nella geografia giuridica del nuovo capitalismo regolato: quello in cui le attività “private” operano dentro un recinto di norme pubbliche, spesso più stringenti delle leggi di mercato.
Dalle sale terrestri alle piattaforme digitali dei casinò online legali, dalle lotterie online ai sistemi di pagamento, il filo conduttore è uno: chi gestisce flussi sensibili – denaro, dati o consenso – svolge una funzione pubblica, anche se lo fa da privato.
E allora il “cartaio” di Sanremo diventa simbolo di una vicenda ma anche di un concetto giuridico chiaro: anche il gesto apparentemente più neutro – sigillare un mazzo di carte – è parte di una catena di fiducia tra Stato, cittadino e mercato.
I casinò concessionari svolgono una funzione pubblica
La sentenza n. 4632 del 2024 segna un punto di svolta silenzioso ma profondo. Non parla solo di carte truccate, ma di confini tra economia e Stato, tra legalità e fiducia. Di responsabilità.
Un promemoria, per il paese intero, che anche nelle luci soffuse di una sala da gioco può brillare — o spegnersi — una parte dello Stato.
Ricapitolando:
- La gestione di un casinò è considerata un servizio pubblico. La Cassazione ha stabilito che la gestione e il controllo del gioco perseguono interessi pubblici come la tutela delle entrate fiscali, l’ordine pubblico e la salute.
- Un dipendente di un casinò può essere incaricato di pubblico servizio? Sì, se le sue mansioni non sono meramente esecutive. Nel caso di Sanremo, il “cartaio” è stato riconosciuto come tale, perché esercitava funzioni di controllo e certificazione.
- Chi riveste quella qualifica può rispondere di reati come corruzione e peculato, e non più solo di appropriazione indebita. È un salto di livello, che eleva la responsabilità penale al rango di chi gestisce la funzione pubblica.
