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Valore Disatteso: #10 – Otto punto uno per cento

Dario durante il Main Event dell'IPT a Campione d'Italia

È cominciata così. Io non ci pensavo proprio. È stato un mio amico che mi ha convinto a partire. Due volte. Era il giorno di Natale, lo ricordo bene, squilla il telefono, dice “andiamo a Venezia dopodomani, dai, ci saranno tavoli cash belli”. Facile convincere le persone quando hanno appena ingerito il fabbisogno calorico annuale di un uomo adulto, molto facile. Dico di sì, ma poi non se ne fa nulla, non ricordo neanche perché, forse il buy-in basso del torneo ci ha fatto dubitare ci sarebbero state partite interessanti.

Passa qualche giorno. Lo stesso amico di prima mi manda un messaggio in una serata in cui avevo la testa talmente altrove che avrei accettato qualsiasi cosa, dice “andiamo a Campione, dai, c’è l’IPT, ci sarà una 10/20 bellissima”. Rispondo “ok”, senza pensarci molto.

Sostanzialmente è stato solo al mio arrivo al Casinò Municipale di Campione d’Italia, la sera prima del day1A dell’IPT, che mi sono reso conto di essermi imbarcato – mio malgrado – in una di quelle sconclusionate imprese che i giocatori abituali chiamano “trasferte”. È diverso dai viaggi che ho fatto in altre occasioni, visitare località interessanti con la scusa di qualche tavolo cash game da qualche parte. Questa è proprio una “trasferta”, c’è il torneo, il Casinò, la gente, l’albergo e nient’altro. Insomma, sono un giocatore live esattamente uguale ai tanti accorsi in questa strana località tra le brume del lago di Lugano, ad eccezione del fatto che non ho alcuna intenzione di giocare il torneo, naturalmente.

Prima serata. Arrivo carico di buone speranze ed eleganti placche da gioco ai tavoli cash game e mi metto in lista. Prima notizia: i tavoli aprono alle 21 e chiudono alle 3, tutti i giorni. Seconda notizia: ci sono 19 persone in lista d’attesa per la 5/10 e 5 per la 10/20, ma nessuno ha intenzione di aprire un tavolo. Terza notizia: sono allegramente in fondo alle suddette liste d’attesa.

Comincio a nutrire grosse perplessità sulla possibilità di combattere il sistema per i cinque giorni successivi e il mio umore non è alle stelle. La cosa peggiora quando finalmente riesco a sedermi a un 5/10, in cui cinque scandinavi giocano a Need For Speed sull’iPad restituendo al dealer le carte all’inizio di ogni mano quasi stupiti che quello continui a dargliele, un paio di arzilli ottuagenari coccolano i loro 40 big blind senza alcuna intenzione di giocarne anche una minima parte senza almeno una scala in mano e io, tra il nervoso e l’assonnato, trovo il modo di buttare un paio di stack in situazioni tra il marginale e lo sfortunato. Bene. Appare evidente che sarò costretto a giocare il torneo.

Questo è, più o meno, il quadro delle motivazioni che mi hanno spinto ad iscrivermi a un MTT live, una di quelle scelte che sai dall’inizio essere sbagliate e sconsiderate. Ma d’altronde, nessuna bella storia nasce da una decisione presa per buon senso. Comunque sia, ho già uno stack davanti, non c’è tempo di stare a riflettere, ho già dato un’occhiata a un tavolo tutto sommato neanche troppo semplice e ho già flattato A4s da bottone sull’apertura da middle position di un ragazzo timido con la patch di Pokerstars (ovvero uno che si è qualificato con un satellite). Il flop è una cosa tipo 642 rainbow, lui betta, io callo. Il turn è un 4 (yeah), lui checka, io betto, lui calla. Il river è un J, lui checka, io betto, lui ci pensa e calla con 99. Vinco il piatto. Perché racconto questa mano? Perché il ragazzo timido che gioca questa linea bislacca è a quattro giorni dalla vittoria dell’IPT in HU contro Invernomuto. Alle volte la vita!

La cronaca è poco interessante, chiudo il day1 sopra average, dedico il day1B al cash game e mi presento tutto sommato allegro al day2. In primo luogo sono forte dell’8.1% di quota venduto a IwasKMutu (perché lui una cosa normale giustamente non può farla), che dovrebbe assicurarmi una run molto al di sopra della media. In secondo luogo, per una volta, ho voglia di giocare il torneo, cosa che davvero non avevo messo in preventivo quando, pochi giorni prima, mi ero imbarcato sull’aereo per Milano.

La verità è che, ammettiamolo pure, mi sto divertendo: è piacevole conoscere tanti ragazzi che fanno il mio stesso lavoro, è piacevole vivere qualche giorno in un mondo in cui non esiste il tempo e in cui non esistono preoccupazioni che vadano al di là dell’average, della durata della pausa e della qualità della pasta del buffet (d’altronde siamo a due ore di macchina da Davos, la patria del tempo sospeso). Le chiacchiere davanti alle generose teglie di affettati del Cafè de Paris si protraggono fino a notte (molto) inoltrata, ti ricordano che altri venti-qualcosa-enni che abitano lontano da te condividono le tue stesse riflessioni su questo lavoro, sulla vita che fa condurre, sul modo di affrontarla.

Il day2 scorre via veloce, malgrado un tavolo veramente duro all’inizio, reso piacevole dalla vicinanza di Wyllis e Recole, e dopo qualche ora scoppia la mia prima bolla in un torneo di buy-in importante (d’altronde si contano sulle dita di una mano quelli che ho giocato). Il tempo di illudermi un po’ che magari “one time ecc.ecc.” e già siamo al day3, già siamo in late stage.

Tavolo con RoccoGe e Invernomuto, qualche battuta piacevole, un numero veramente alto di showdown preflop, qualcuno vinto, qualcuno perso. Il mio stack si gonfia e si restringe di mano in mano, fatico a tenere il passo con gli aggiornamenti su Twitter. Sono piuttosto insicuro in questa fase del gioco, abituato agli stack deep del cash game ho sempre paura di fare errori quando sono 30/35x. Fortunatamente i superpro MTT mi dicono che tutto sommato non sto poi sbagliando molto, il che mi fa piacere. Gli showdown proseguono, in questo strano giochino inventato da Mefistofele in cui i bui aumentano e il valore delle chips diminuisce, stiamo sempre a girare le carte e a guardare col fiato sospeso da che parte andranno i soldi.

Tutto molto televisivo, tutto molto poco chiaro, almeno per me. Fatto sta che a un certo punto perdo un numero sufficiente di showdown da far sì che un burbero cowboy campano (mi piace ricordarlo così) decida dopo lunghe riflessioni di chiamare il mio all-in da bottone per 14bb con 99 (decisione molto sofferta!). Io ho T8s, vince lui. Ventesimo, tutto sommato un buon risultato.
È grave che un giocatore puramente online, che non gioca un euro a roulette, blackjack, punto-e-banco (e anzi ogni volta che passavo davanti ai tavoli mi veniva l’ansia a vedere le cifre che la gente buttava in quel modo), che non ha una passione smodata per il poker live e che tendenzialmente non ama per nulla i tornei abbia trovato davvero piacevole la “trasferta”? Al punto da volerla ripetere in occasione della prossima tappa a Saint Vincent?

Credo che, come in tutte le cose, la run abbia inciso molto, il fatto che il torneo capitasse in un momento in cui davvero avevo bisogno di allontanarmi un po’ dalla mia città e i suoi pensieri, il fatto che andare deep mi abbia dato sempre da fare e mi abbia tolto il senso di colpa di aver buttato denaro a caso, il fatto di aver incontrato tanti ragazzi che conoscevo (e altri che non conoscevo) con cui passare il tempo.

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Ma se devo tirare le somme dell’esperienza non posso far altro che dire che, alla faccia dell’EV, dell’intima e profonda bruttezza dell’ambiente e di quasi tutto quello che vi è contenuto e della notevole quantità di tempo “perso”, sono stato davvero bene. Il che, tutto sommato, è stata una piacevole sorpresa.

(per le foto si ringraziano Federico Colelli e PokerStarsblog)

 

[Dario] è uno scrittore, professional poker player e coach di Pokermagia

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