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Doyle Brunson conferma l'atroce sospetto: si stava meglio quando si stava peggio?

Stamani leggevo la notizia di Doyle Brunson e della sua “deception”, ovvero la bugia (a fin di bene) portata avanti con famiglia e amici per nascondere il fatto di guadagnarsi da vivere giocando a poker.

Pensavo che il buon Texas Dolly non poteva che diventare una leggenda, essendo riuscito già da giovane a trovare una linea di bluff buona per una percentuale così alta di persone.

Doyle Brunson in stampelle, quando era una giovane ex promessa del basket

Noi pokeristi italiani del 2018, più fortunati di Doyle

Pensavo anche a quanto doveva essere difficile allora, la vita, per chi aveva scoperto come fare del poker una professione. Un coacervo di pregiudizi, radicati nel profondo sud dell'America del secondo dopoguerra, rendeva il contribuire ad assemblare un'arma di distruzione di massa come un'occupazione più rispettabile rispetto a quella di sedere a un tavolo e vincere soldi alla gente. Per fortuna quegli anni così duri e gretti sono lontani, per fortuna non siamo più nel 1956 ma nel 2018 e le cose sono molto cambiate.

Meno male, dai. T'immagini come sarebbe brutto vivere ancora in un mondo in cui sfruttare la propria abilità nel calcolo e nella lettura degli avversari fosse qualcosa di cui vergognarsi?

Sì ok, mi avete scoperto: è un photoshop. Ma da cosa lo capite?

Terribile che sarebbe, se oggi un pokerista dovesse sentirsi dire che non fa nulla per la società, quella stessa società la cui economia reale è surclassata da quella finanziaria, più grande di almeno 13 volte e che prolifera soffocandola.

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Tremendo che sarebbe, se oggi un pokerista dovesse sentirsi dire dallo Stato che è un ingannatore e rovina-famiglie, quello stesso Stato che protegge chi offre al popolo il gioco delle tre carte.

Spaventoso che sarebbe, se oggi un pokerista dovesse sentirsi come un essere pericoloso per l'incolumità altrui, mentre lo Stato annuncia di voler promuovere un uso massiccio delle armi.

Per fortuna il 1956 è lontano e il mondo ha fatto passi da gigante, nel frattempo. E noi siamo stati più fortunati di Doyle. Possiamo dirlo con dignità.

Giornalista - Poker e Sport Editor
Nato nel 1972 in Calabria, pratica diversi sport con alterne fortune, anche per via di un fisico non esattamente da Guardia Svizzera. Dai primi anni ’90 ad oggi, il suo percorso lavorativo e di vita non ha mai smesso di accompagnarsi alle varie passioni: dalla musica alle arti visive, alla tecnologia e alla scrittura. Prima DJ in vari club, poi tecnico e regista televisivo, quindi giornalista. Nel 2006 scopre il Texas Hold’em che dal 2007 diventa il suo pane quotidiano, creando la prima redazione online interamente dedicata al poker, in Italia. Anche lo sport non ha mai smesso di essere parte della sua vita, seppur non vissuto ma raccontato. Da anni scrive di calcio, basket e tennis, con particolare amore per quest’ultimo, ben prima che diventasse sport nazionale con la Sinner-mania e tutto ciò che ne consegue.
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