Il Main Event WSOP che ci siamo appena lasciati alle spalle sembra aver scontentato molti, e non è la prima volta, tanto che c'è chi non esita a invocare la maledizione. La domanda è semplice: Greg Merson sarà un buon ambasciatore per il poker?
Più di qualcuno crede, a torto o ragione, che non possa fare un lavoro migliore rispetto a quello di molti suoi predecessori, scivolati via anonimi nella memoria e nelle cronache, ma forse dovremmo prima metterci d'accordo: quale sarebbe il tanto sospirato profilo del campione ideale?
Paradossalmente, se pensiamo all'impatto che ha avuto, il miglior campione del mondo di sempre è stato indubbiamente Chris Moneymaker, che tuttavia è ben lontano dal rappresentare il prototipo del professionista vincente. Eppure, in quel maggio del 2003 lo statunitense era perfetto proprio per il suo essere nessuno: la persona comune che batte il campione, il giocatore qualunque che partecipa e vince il torneo di poker più importante al mondo qualificandosi da casa propria per una manciata di dollari, l'uomo qualunque che potrebbe essere chiunque. Anche tu.
Questo lo ha reso un buon ambasciatore? Cinicamente dovremmo dire di sì, visto che ha reso il Texas Hold'em estremamente popolare, ma indubbiamente non si può dire di lui che abbia lasciato il segno nel poker giocato, visto che non ha mai saputo ripetersi ad alti livelli né ha mai conquistato il rispetto dei professionisti più quotati, almeno come giocatore. Al giorno d'oggi, forse solo il successo di una donna sarebbe in grado di ripetere qualcosa di simile, in termini di popolarità.
Anche andando sul "polo" opposto, non è detto che le cose vadano poi tanto meglio. Immaginiamo infatti che nel 2009 avesse vinto Phil Ivey, anziché Joe Cada: siamo sicuri che sarebbe stato un buon ambasciatore per il mondo del poker? Certo, si tratta probabilmente del giocatore più completo al mondo, ma non si può dire che il relazionarsi coi media sia un suo punto di forza. Ivey è infatti un giocatore "duro e puro", non interessato al carosello mediatico, che pure è il palco per antonomasia, sul quale un buon ambasciatore dovrebbe destreggiarsi ben volentieri e al meglio.
Lui ne avrebbe davvero l'indole o l'intenzione? Blog personali non ne ha mai tenuti, le sue interviste sono più rare degli anni bisestili e il suo profilo di Twitter è gestito da un team che è riuscito nel non facile compito di renderlo odioso a molti dei suoi followers, fra cui diversi professionisti. A questo va aggiunta la nota passione per i tavoli di dadi, di baccarat e quant'altro, azzardo puro non esattamente ideale per chi dovrebbe essere chiamato a fare da modello di razionalità e controllo, a scrostare dalla pelle del professionista di poker l'etichetta del degenerato.
Gli appassionati lo considerano giustamente un campione, ma quale sarebbe l'opinione di un osservatore esterno a questo mondo? Davvero un gran numero di neofiti sarebbe spinto ad avvicinarsi al poker per questo? Probabilmente no: lo ignorerebbero, così come hanno ignorato gli altri.
Ecco perché allora serpeggia sempre una delusione che pare destinata a non avere fine, perché forse non è lecito aspettarsi alcun miracolo, da alcun campione del mondo: in fondo sappiamo che si tratta soltanto di qualcuno che ha avuto la fortuna di vincere un torneo. Certo, forse da appassionati ci piacerebbe che almeno il vincitore avesse caratteristiche tecniche tali da credere che possa portare con disinvoltura sulle proprie spalle un titolo tanto altisonante, ma in fondo anche in quel caso chi l'ha detto che chi ha appena intascato milioni di dollari debba sentirsi necessariamente in debito per qualcosa?