Nel Betsson Sport Talk di Pierluigi Pardo, Fabio Cannavaro non ha alzato la voce: non ne ha bisogno ma ha fatto emergere alcune dure verità nella sua intervista. L’ex capitano della Nazionale parla con la calma di chi ha vinto un Mondiale e un Pallone d’Oro, ma certe certezze le presenta con il taglio netto di una lama. Del resto, ci sono interviste che servono a misurare la distanza tra ciò che il calcio italiano è stato e ciò che è diventato.
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Quando Pardo gli chiede della Juventus, Cannavaro non gira attorno alla questione. Non lo ha mai fatto, nemmeno da calciatore.
«Quello che si vede da fuori è che stanno vivendo un momento di confusione perché non si riesce a seguire una linea, a creare un progetto. Una società come la Juve non può permettersi di non vincere per tutto questo tempo. C’è qualcosa che si sta sbagliando e va recuperato velocemente».
Parole dure, ma misurate. E la logica dice che una Juventus senza identità è un controsenso storico, quasi un ossimoro tecnico.
C'è da dire che Fabio a Torino non gode di molta popolarità: i tifosi bianconeri gli imputano il tradimento del 2006, quando scappò al Real Madrid invece di rimanere in Serie B. Inoltre, il suo ritorno non fu proprio felice in campo.
"De Laurentiis è un vincente"
Molto diverso il tono riservato al Napoli. Cannavaro parla della sua città senza indulgere nella retorica, ma riconoscendo meriti evidenti: «A Napoli gestione ambientale fenomenale. De Laurentiis ha scelto un vincente… Antonio tatticamente non è secondo a nessuno. Il Napoli di Spalletti è uno dei più belli degli ultimi anni, con un predominio costante in tutte le partite».
E prima ancora aveva sottolineato: «De Laurentiis passerà alla storia come un vincente… Non ha mai avuto paura del confronto con allenatori ingombranti come Benitez o Ancelotti. A volte non è simpatico ma la società da anni non ha problemi economici...».
È una fotografia precisa: a Napoli, oggi, c’è una guida. A Torino, no secondo Cannavaro.
«La Nazionale del 2002 era più completa (che furto in Corea!), quella del 2006 più compatta e operaia».
Fabio Cannavaro a Betsson Sport
La crisi dei difensori italiani: una resa culturale
Cannavaro affonda poi il bisturi sul punto più dolente: la fine della scuola difensiva italiana.
«La mia generazione è cresciuta con il culto della marcatura e dello scontro fisico. Oggi, invece, se un difensore non imposta palla al piede sembra non possa giocare. Questo ci ha creato un danno enorme: non produciamo più difensori o portieri di livello mondiale».
E il passaggio più significativo, quasi amaro, è sulla scivolata:
«A Coverciano oggi è vista come un errore… Per me, invece, una scivolata tempista è una goduria equivalente a un gol al volo per un attaccante».
È il simbolo di un calcio che ha dimenticato la propria grammatica.
La panchina, la durezza, l’Uzbekistan
Cannavaro respinge l’idea di essere un tecnico di immagine, uno da passerella: «Forse il mio sorriso o l'immagine curata ingannano, ma io sono tosto. Ho accettato sfide difficili come Benevento o Udine…»
Ora guida l’Uzbekistan, e l’obiettivo è tutto meno che secondario: «In 14 mesi ci giochiamo il Mondiale e la Coppa d’Asia: è un traguardo che voglio aggredire». È un progetto concreto: investimenti sui giovani, tempi serrati, ambizione chiara.
Il 2006, Lippi e il coraggio
Il ricordo finale è un omaggio, ma anche una lezione. «Quella partita l'ha vinta lui… inserendo quattro punte nei supplementari», dice a proposito di Lippi nella semifinale contro la Germania.
Una scelta che oggi chiameremmo “visionaria”, allora era semplicemente coraggiosa. E proprio il coraggio è il tema che attraversa tutta l’intervista: quello che serve ai giovani difensori, alle grandi società, a un calcio che rischia di perdere sé stesso.
«La Nazionale del 2002 era più completa (che furto con scasso subimmo!), quella del 2006 più compatta e operaia».
Cannavaro non lo dice apertamente, ma l’eco è chiara: il calcio italiano deve tornare anche a rispettare le proprie origini. Ecco il video di Betsson Sport con Pierluigi Pardo: