Gus Hansen non ha dubbi: ripensando ai suoi esordi nel poker che conta nessuno giocava come lui ad alti livelli, e quindi il danese crede di aver avuto un impatto decisivo nello sviluppo del gioco così come lo conosciamo oggi, dove l'aggressività ed il gioco LAG in genere appaiono premesse irrinunciabili per imporsi nelle partite che contano.
A cavallo fra il 2002 ed il 2004 Gus vinse infatti tre titoli WPT andando molto vicino ad un quarto, grazie ad uno stile che allora apparve ai più come rivoluzionario: "Mi piace pensare di aver dato il via a questo genere di cambiamento - spiega in un'intervista a 2+2 - ma è anche vero che nel 2002 questo era molto più semplice. I field nei tornei erano composti da non più di 200 persone, e fra queste almeno 180 giocavano solo mani molto forti, dandoti così modo di vincere molti piatti postlfop".
Tuttavia adesso le cose sono molto cambiate. I field nei tornei hanno raggiunto dimensioni allora impensabili, la strategia è molto più avanzata così come numerosi sono quelli in grado di applicarla, ed infine Gus Hansen non è più quel giocatore inesperto che fu tra i primi eliminati del Main Event WSOP 1996, ma un professionista a cui nessuno più crede: "Nei tornei non faccio più giocate particolarmente folli, perché nessuno mi crede mai e quindi per arrivare in fondo ho bisogno di buone carte. Gli avversari a volte prestano più attenzione a questo tuo genere di reputazione, che non a quello che fai al tavolo".
E per spiegarsi meglio Hansen fa un esempio di quanto accadutogli all'Aussie Millions: "Mi trovavo al tavolo con Annette Obrestad, che rilanciava e faceva azione praticamente ogni mano, ma tutti le davano molto credito. Io foldai per un'ora e mezza, e quando provai ad aprire non feci neppure in tempo a finire di dirlo che subito mi son visto scatenare l'inferno!".
Una fama che, se non altro, gli consente di avere sempre un posto prenotato a suo nome a Macao, dove ha cominciato a giocare non senza qualche titubanza: "Si tratta di tavoli dove puoi perdere milioni di dollari, e non sono pochi coloro che si sono fatti male perché hanno ignorato la gestione del bankroll, nonostante fossero in grado di battere quella partita. Io ho provato a tastare il terreno, e dopo le prime sessioni positive sono stato in grado di acquisire sicurezza, instaurando anche buoni rapporti con loro".
Lo stesso non è accaduto online, dove come "broksi" ha perso un milione di dollari, pagando lo scotto dell'inattività di fronte al computer: "Mi sono sentito arrugginito, incapace di concentrarmi a dovere giocando su più tavoli, ed ho commesso diversi errori. Spero di poter tornare presto a farlo su Full Tilt Poker, così da tornare ad essere brillante". Insomma, i migliori giocatori di PokerStars non saranno i ricchi asiatici di Macao, ma non per questo Hansen sembra intenzionato a gettare la spugna.
Anche perché in fondo Gus pensa che se oggi stanno facendo quello che stanno facendo, un po' sia anche merito suo.