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Valore Disatteso: #14 - Barcellona

Cammini in spirali concentriche per il Barrio Gotico di Barcellona, in vacanza da una vacanza, in pausa dalla lunga pausa che è la tua vita e dalla breve, densa pausa che sono stati gli ultimi giorni. Ed è giorno, pomeriggio. C’è il sole, gli americani sono sobri e l’odore di erba è leggero, solo in qualche piazzetta e in qualche angolo.

Le strade si mascherano di negozi e buste di shopping e ti sembra che la pietra dei pavimenti sia quasi usurpata dal calpestio indolente di quella folla silenziosa e diurna, quasi che il sole che ha asciugato il vomito e la birra della sera prima sia una facciata ipocrita, una concessione della città al buoncostume dei turisti. Dalla cattedrale alla Rambla, fin dentro Raval, pelli biancastre si slanciano goffe da gonne corte che bramano l’estate, magliette dei Guns e dei Clash e degli Stones scuotono la testa di fronte alle vetrine di Desigual ed H&M e si provano occhiali da sole gialli al negozio accanto. Non fa caldo, è presto per sedersi a bere qualcosa, si cammina, devi camminare.

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Nel Dicembre del ’74 Bruce Chatwin arriva in Patagonia, la sua prima narrazione sono le quattro parole del telegramma con cui si licenzia dal Sunday Times Magazine: “Have gone to Patagonia”.

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Tra i vicoli che si susseguono come un ragionamento noioso ragioni distratto su quanto questi americani, ragazzi e ragazze, ti appaiano così prototipicamente yankee nella loro noncuranza e risolutezza, nei loro sorrisi, nei loro accenti che giochi ad individuare, nella loro inesauribile identità culturale.

Li guardi e pensi che proprio questi modelli così perfetti, a casa sono probabilmente visti come ribelli, il cugino strano che ha attraversato l’Europa zaino in spalla, l’amica dalla reputazione rovinata dalle feste del primo anno che dopo una deludente valutazione agli SAT vuol dare un senso al proprio fallimento tingendolo per un po’ di libertà bohemienne. Cerchi di essere meno supponente, li immagini coraggiosi, indipendenti, avventurieri, ma un po’ ti frenano le ciabatte e i bermuda che indossano, un po’ ti viene il dubbio che non sia corretto farlo.

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Il titolo dell’ultimo libro di Chatwin è “What am I doing here?”, che ci faccio qui?, ed è anche l’incipit del primo dei racconti, dal letto dell’ospedale dove sta morendo di AIDS. È un libro famoso.

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Sono loro? Cos’è quest’impressione di incompletezza, cosa c’è che non va? Sono loro che recitano, che giocano a fare i turisti sotto il sole del primo pomeriggio e si lanciano sguardi d’intesa da cospiratori della notte? È questa città, davvero, ad avere un’aura così incomprensibilmente notturna, come se il sole la tingesse di falsità da cartolina nascondendo come un sipario il palcoscenico della notte? O sei tu? Sei tu che pretendi di trovare la Barcellona sporca, notturna e universitaria che desideri, tu che inventi ribelli e storie da raccontare sotto i capelli biondi dell’ennesimo gruppo di ventenni?

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Uno spagnolo sui quarant’anni, i pantaloni chiari lisi e macchiati, suona l’armonica nella piazza, ma lo sai che non è veramente vero, lo vedi che quello fuori posto è lui, anche se a te piace. Oggi sei un viaggiatore disonesto, che chiude gli occhi sulle maglie di Messi e i negozi di scarpe e le catene di tapas bar e vede foderi di chitarre, lavagnette di pub che promettono whisky e assenzio, libertà. Viaggiatore disonesto. Chatwin ha attraversato la Patagonia parlando solo con europei in esilio, ammettilo. Chatwin ha raccontato i confini del mondo alla ricerca delle ossa preistoriche trovate dal suo antenato marinaio e ci ha trovato latifondisti gallesi e leggende su Butch Cassidy e il Sundance Kid. Che differenza fa dove sei? E dove sei?

Ti ci vogliono una ventina di minuti per emergere dai vicoli e attraversare la Rambla come si guada un fiume basso dalla corrente sonnolenta, per respirare le spezie dei kebab di Raval, per ignorare le tue riflessioni e comprare l’LP di Highway 61 Revisited nel più sporco scantinato che ti riesce di trovare. Dieci minuti e sei un quadro perfetto, al tavolo di legno scuro nella penombra della whiskeria semideserta, un disco e un bicchiere di Glenfarclas davanti e un’aria riflessiva sotto i capelli biondo scuro che il barista crede americani. How does it feel? Viaggiatore disonesto.

Barcellona, 12/13-04-2013

[Dario] è uno scrittore, professional poker player e coach di Pokermagia

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