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Giocare safe o rischiare in torneo?

Giocare safe in un torneo non è sempre la cosa giusta: ma quando è bene rischiare?

Se un giocatore di poker potesse scegliere, sicuramente opterebbe per vivere un torneo in assoluta tranquillità, navigando con uno stack piuttosto deep - diciamo un centinaio di big blind? - dall’inizio alla fine. 

Peccato che poi occorra scontrarsi con la dura e cruda realtà: a volte basta una mano andata male nelle fasi iniziali di un torneo per ritrovarsi ben presto in una situazione di rischio estremo, che fa rima con eliminazione. 

 

Quella via di mezzo che ci mette in difficoltà

Intuitivamente, quando siamo deep-stack possiamo tranquillamente evitare di metterci in una situazione in cui rischiamo l’eliminazione dal torneo in uno spot non troppo chiaro. Nel dubbio, sappiamo che possiamo foldare, giocando in maniera safe, perché abbiamo le chip per poter aspettare momenti migliori.

Va da sé che, viceversa, quando siamo short-stack ci capiterà molto più spesso di dover prendere decisioni che ci possono costare la prematura dipartita dal tavolo. E quando non siamo né short né deep?

A volte, con un medium-stack siamo tentati di giocare safe e chiamare o foldare, quando in realtà le opzioni dal valore atteso più alto sono il raise o addirittura lo shove, ovvero quelle opzioni che in media ci porteranno un risultato migliore, aumentando però il rischio di andare broke rispetto a quelle per l’appunto più safe.

Una situazione medium vs big stack

Per comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando, aiutiamoci con un esempio. Stiamo partecipando a un torneo di no-limit hold’em freezout da $400, un Side Event da 100 giocatori. Siamo a 25 left, ma solo 12 andranno a premio. Il livello dei bui è di 600/1.200 e abbiamo 55.000 chip, circa 46 big blind.

Troppe chip per andare rotti? Vediamo.

Tutti foldano fino al bottone, con più di 100.000 chip, che apre il gioco rilanciando a 3.200. Lo small blind folda e noi difendiamo il grande buio con A 8 , una mano non esaltante post-flop ma neppure da foldare pre-flop in una situazione del genere.

Il flop è Q 10 5 : abbiamo qualche progetto backdoor e una overcard, senza contare che persino il nostro asso-carta alta potrebbe bastare. Facciamo check e l’avversario punta 4.000, circa mezzo piatto.

Una situazione non esattamente immediata. Contro avversari passivi, un fold è quasi d’obbligo; ma contro avversari che fanno continuation bet ogni volta che arrivano al flop, piazzare un call non è da scartare, soprattutto se sapete che così facendo oppo toglierà il piede dall’acceleratore.

Il nostro avversario è uno dei pochi player di questo torneo che sa il fatto suo e che adotta uno stile tight-aggressive. Insomma, chiamando non stapperemo automaticamente una bottiglia di champagne, ma è al turn che le cose si fanno interessanti.

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La carta migliore del deck?

Al turn scende un J che migliora esponenzialmente il potenziale della nostra mano. Col nostro A 8 abbiamo il progetto di colore nut e con un re o un 9 potremmo anche chiudere una scala. Consideriamo poi che la nostra overcard potrebbe anche bastare qualora ci trovassimo contro qualcosa come T-9 o Q-9, mani con cui un giocatore aggressivo e big stack può tranquillamente aprire da bottone pre-flop.

Qui potremmo anche uscire in puntata. Nel nostro range dovrebbero esserci molti più colori rispetto al range altrui, dato che pre-flop noi chiamiamo con più mani suited e l’avversario rilancia con più mani offsuited. Ma quelle mani offsuited sono più spesso carte alte, di cui ora abbiamo ben tre esemplari sul board, perciò queste regole generali di certo non ci aiutano a capire quale dei due range è più forte in questa circostanza.

Alla fine decidiamo di fare check e il nostro avversario punta 7.000 su un piatto di 16.000. Che facciamo?

La tentazione di giocare safe per non uscire dal torneo

In questo spot abbiamo una mano viva praticamente contro qualsiasi cosa possa avere oppo. Che siano set, colori, scale o doppie coppie, abbiamo ancora degli out per migliorare.

Molti qui penserebbero: “Ma io non voglio giocare un piatto grosso contro un giocatore forte, in un torneo dove ci sono dentro ancora molti giocatori deboli”. Oppure: “Ho troppe chip per andare broke in questo spot”.

Limitarsi al call è una tentazione molto forte in questo spot. Ci facciamo ammaliare dalla consapevolezza che, a prescindere da come finirà questa mano, vedremo anche la prossima. 

Ma se andiamo all-in, mettiamo in difficoltà tantissime mani, come ad esempio A-A, Q-9 e K-Q.

Così facendo, possiamo far foldare diverse mani, e inoltre in qualche modo “risolviamo” il river prima del tempo. Come ci faremo pagare, nel caso chiudessimo la mano migliore con un 9, un K o un fiori, quando per un set sarà praticamente palese la sua inferiorità? Senza contare che il pensiero di andare all-in con troppe chip non influenza solo noi, ma anche il nostro avversario: al posto suo chiamereste con una mano come A-Q?

Nei tornei di poker conta la sopravvivenza, certo, ma conta anche sapere quando prendere rischi potenzialmente proficui in spot come questi.

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