Il recente Irish Open, di cui è peraltro ambasciatore, ha riportato in auge il suo nome, anche se chi segue il poker da molti anni non può non conoscere Andy Black. Per tutti gli altri, ecco profilo e aneddoti di un personaggio a suo modo unico, nel panorama del poker.
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Andy Black, controcorrente fin dalla nascita
Nascere e crescere in una famiglia cattolica, nella Belfast di metà anni '60, non doveva essere semplicissimo. E forse la complessità del personaggio Andy Black ha origine proprio da qui, da una infanzia e giovinezza in un ambiente ostile, nel bel mezzo dei "Troubles", la guerra civile che sarebbe terminata solo nel 1998, dopo più di 30 anni e circa 3500 morti.
Trasferitosi a Dublino per studiare giurisprudenza al Trinity College, il giovane Andy non se la passa benissimo economicamente. Così, quando un amico gli rivela che ai tavoli da poker del Griffin Casinò c'erano caffè e sandwich gratis, Andy non se lo lascia dire due volte. Il poker l'aveva imparato giocando da piccolo con sua madre, e negli anni dublinesi affina sia la conoscenza tecnica del gioco, sia la componente umana collegata, che sarà uno dei punti di forza nella sua carriera.
Gli esordi a Las Vegas: "Nel 1996, a 30 anni ero il più giovane alle WSOP"
Nel 1996 la sua prima trasferta a Las Vegas. "A poco più di 30 anni ero uno dei 2-3 più giovani ai tavoli", racconterà del suo primo impatto con le World Series Of Poker. Al tempo le WSOP erano di fatto un discorso interno tra americani, i giocatori europei erano una nettissima minoranza.
Stu Ungar e l'eliminazione shock dal Main WSOP
L'anno seguente è quello della prima grande deep run, nel tornei dei tornei: il Main Event delle World Series Of Poker. Dei 312 partecipanti, ne restano meno di 20 e si procede al redraw degli ultimi due tavoli. Al tempo non esisteva la comodità dei software gestionali, dunque il redraw era semplicemente che ogni giocatore pescava una carta contenente tavolo e posto. "Ero riuscito a evitarlo fino a quel momento, ma dopo che pesca la sua carta lo vedo dirigersi verso di me e sedersi proprio alla mia sinistra". Il giocatore in questione è Stu Ungar, al tempo già devastato dai suoi mostri ma ancora in grado di rendersi intangibile per quasi tutti gli avversari al tavolo.
"Non si reggeva in piedi, ma mi tolse tutte le chips in 2 mani"
"Stu era davvero messo male, ricordo che in molti dubitavano che sarebbe riuscito a superare il day 1. Regolarmente lui si alzava e andava via 3 o 4 ore prima della fine della giornata, potendo sempre contare sulle tante chips che riusciva a fare", raccontava Black in un recente podcast. Poi Ungar tornava al tavolo e rifaceva le chips perse nei giri in cui era sit out. E una delle sue vittime è proprio Andy Black. "Non si reggeva quasi in piedi, ma al tavolo mi tolse tutte le chips in due mani". Andy termina al 14° posto per 29.680$, mentre Stu Ungar andrà a vincere il suo terzo e ultimo WSOP Main Event per 1 milione di dollari.
La scoperta della meditazione
Nonostante le condizioni a dir poco precarie, Stu lo aveva studiato, ne aveva capito i punti deboli e gli aveva preso tutte le chips. Andy ne esce devastato, impiega mesi a riprendersi e inizia a frequentare il Dublin Meditation Center. Inizialmente la sua intenzione era quella di usare la meditazione per migliorare il proprio poker, invece quell'esperienza gli avrebbe aperto altri orizzonti.
Il WSOP Main Event 1998 e il cooler che devasta Andy Black
Ad ogni modo, l'anno seguente Andy Black è ancora lì, insieme ad alcuni amici irlandesi e britannici, per ritentare l'avventura. Stavolta va ancora peggio, perché il day 2 era partito bene, ma poi perde un po' di piatti e si ritrova ai resti con QQ contro KK. Out. Andy accusa nuovamente il colpo, si rende conto di avere problemi col suo gioco, soprattutto di fretta nel vincere e dimostrarsi il migliore, e non la vive bene.

Il ritiro e la vita monastica
Tornato in Irlanda, matura una decisione forte: il poker lo sta rendendo una persona infelice. Così Andy Black decide di mollare tutto, vende tutto ciò che ha e si trasferisce in Inghilterra, in una comunità buddista semi-monastica, dove rimane per 5 anni.
Il richiamo irresistibile del poker
La vita in comunità lo rende felice, ma la fiammella del poker rimane accesa. Racconterà poi Black "Lì ho imparato molto su me stesso, e sono felice di essere rimasto lontano daI poker per un po'. Però sentivo che mi mancava qualcosa. Ecco, tornare al poker mi ha fatto capire che quella è la mia vita. Onestamente non posso negare di esserne ossessionato, ma quella ossessione mi porta tanta capacità di concentrazione, che è qualcosa di indispensabile se vuoi eccellere, in qualsiasi campo. Con tutto ciò che ho imparato nel mio percorso spirituale, il poker può essere l'ambiente perfetto per allenarlo".
Così, nel 2004 Andy Black riemerge dalla vita monastica, anche se da allora in poi il suo nickname sarà "The Monk". E quasi subito arriva il nuovo colpaccio, o meglio un colpaccio sfiorato. Nel 2005 Andy centra il tavolo finale del WSOP Main Event!
Di nuovo al WSOP Main Event, chipleader al tavolo finale. Poi...
Può essere l'occasione per rivalersi di quanto accaduto 8 anni prima, ma nel frattempo è scattato l'effetto Moneymaker. Infatti, dai 312 del 1997 gli iscritti stavolta sono 5619. Andy Black si qualifica al tavolo finale e non in un modo qualunque, ma da chipleader, che a un certo punto si ritrova con circa un terzo delle fiches totali in gioco. Fare la bocca ai 7,5 milioni di dollari che attendono il vincitore è normale, è umano. Tuttavia, anche stavolta non andrà come desiderato.
A un certo punto, Andy si ritrova ai resti contro l'americano Steven Dannenmann, su un flop con 6 come carta alta: allo showdown Black mostra una coppia di 9, Dannenmann A6. Un 6 al river lo fa raddoppiare, ma la beffa deve ancora arrivare. Proprio Dannenmann finisce nuovamente ai resti con Black, che ha una coppia di 10. Dannenmann ha AK e trova un K al turn. Fine dei sogni di gloria per Andy, che esce quinto per il più alto premio in carriera, 1,75 milioni di dollari.
Negli anni seguenti c'è l'ingresso nel team pro di Full Tilt, esperienza conclusa con il Black Friday ma che contribuisce a farlo conoscere al grande pubblico. Il profilo di Andy Black come professionista di poker è ormai definito ed è quello che si porta dietro ancora oggi: un giocatore sempre attento alla dimensione umana del poker, alle sue interconnessioni con gli altri aspetti della vita quotidiana.
Oggi raramente Andy si muove dalla sua Irlanda, dove è sempre un personaggio importante per il poker nazionale. Il recente 5° posto all'Irish Open, di cui è ambasciatore, è il miglior risultato in carriera nell'evento.
Andy Black, il coaching, i robottini e i limiti della GTO
Sempre in un recente podcast, Andy ha chiarito meglio il suo pensiero e in particolare sulla crescente importanza assunta dalla GTO. Secondo l'irlandese, la GTO è importante ma anche fuorviante, perché molti giocatori perfezionano molto questo aspetto ma poi non hanno idea di cosa fare al tavolo live e come prendersi tutti i vantaggi di questa dimensione. Black prende ad esempio i 20 minuti di tank di Adrian Attenborough al tavolo finale del WSOP Main Event 2022. "La vera cosa interessante da chiedergli sarebbe "cosa ca**o hai fatto per 20 minuti?" Io sono sicuro che direbbe qualcosa tipo "non c'era nessun software a dirmi cosa fare". Il problema è proprio questa incapacità dell'essere umano di farsi avanti e prendere una decisione."
Andy Black parla anche di una sua idea, lo "speed coaching", da offrire a giocatori amatoriali - o comunque non professionisti - che arrivano inaspettatamente in fondo a un torneo live. "Il coaching oggi è un business fatto di tabelle e consigli standard, ma quasi nessuno si preoccupa di capire che individuo hai di fronte. Quello che faccio io è aiutarli a guardarsi allo specchio, e capire chi sono veramente, perché sono lì e quale è il miglior modo di giocare per loro." Secondo Black, inculcare nozionismo è perfettamente inutile anzi controproducente: "In quei casi, per me è fondamentale aiutare il giocatore a recuperare una sensazione quasi fisica di se stesso, di dove si trova, di come si sente, di come pensa. La parte tecnica del gioco viene dopo, altrimenti crea solo confusione."
Andy Black e la natura del poker
Nella convinzione di Andy Black non è un caso, se i migliori giocatori di oggi mixano GTO e approccio exploitativo, da Negreanu a Kenney a Bonomo. "La natura del poker, se ci pensi, non può che essere exploitativa, perché l'obiettivo è sempre quello di exploitare il debole, le debolezze. La GTO è solo uno strumento più sofisticato per exploitare".
Nel 1997, Stu Ungar era quanto di più lontano dalla GTO e, più in generale, da una condizione umana decentemente lucida. Eppure, era stato in grado di leggere l'anima a Andy Black. Da lì nacque una grande delusione, ma anche un lungo percorso che ci ha regalato un personaggio unico, nel panorama del poker.
Immagine di copertina: Andy Black all'Irish Open 2023 (courtesy PokerNews & Danny Maxwell)