Oggi Gus Hansen è generalmente considerato un professionista che, almeno online, non può più vincere ad alti livelli: uno scenario simile sarebbe però stato fantascienza dieci anni fa, quando “the great dane” era uno dei migliori giocatori in circolazione.
Merito di uno stile di gioco innovativo per l'epoca, che i migliori avevano già fatto proprio ma che al tempo stesso non era ancora stato sdoganato, a tutto vantaggio di tipi come lui: “A volte i giocatori rimangono bloccati nel loro modo di pensare al poker – spiegava in una vecchia intervista del 2003 – si sono accorti che una serie di strategie hanno funzionato fino a quel momento e quindi vi rimangono fedeli per molti anni, ma questo non significa che sia una buona idea”.
Ed il perché era facile intuirlo: “Negli ultimi anni è emerso un nuovo modo di giocare, uno stile più moderno che prevede giocare molte più mani e vedere molti più flop – spiegava – penso di essere molto bravo ad analizzare le situazioni di gioco con uno sguardo diverso, anche se questo non significa che abbia sempre ragione...”.
Quasi profeticamente poi si sofferma su quella che era una sua debolezza di allora, che col senno di poi è facile ricondurre anche al presente: “A volte il mio ego mi gioca brutti scherzi, non è divertente abbandonare il tavolo quando si è in perdita, e così mi capita di restare in una partita troppo a lungo, solo perché sono convinto di poter battere i miei avversari”.
Infine, il Gus Hansen dei tempi che furono si sofferma sull'approccio generale che all'epoca avevano i giocatori che si dedicavano ai tornei, evidenziando uno dei loro punti di debolezza, almeno a suo avviso: “Siccome non possono fare rebuy, a differenza del cash game, si preoccupano troppo del loro stack - ammoniva all'epoca Gus - mentre a volte dovrebbero semplicemente avere un po' più di coraggio e mettere le fiches in mezzo...”. Col tempo lui forse questa filosofia l'ha presa troppo alla lettera, e di giocarsi i resti è finito con l'importargli troppo poco.