Quella che sto per raccontarvi è la storia di un ragazzo che fa il giocatore di poker professionista, frequentando con successo anche tornei da 10mila dollari o superiori. Ma se vi state aspettando un racconto ballas, o di selfie con pile di soldi guadagnati e donnine di contorno, allora siete completamente fuori strada.
32enne nativo di Birmingham, Stuart Rutter è un poker pro con oltre 1,2 milioni di dollari vinti in carriera live, un presente da habituèe dei tornei high stakes e autore di una eccellente performance alle ultime WSOP, concluse con ben 8 piazzamenti a premio e un momentaneo decimo posto nella GPI WSOP Player Of The Year. Ma - appunto - oggi non è di questo che voglio parlarvi.

Stuart è un ragazzo di grande energia e simpatia, ma soprattutto molto attento al mondo in cui vive. "Ho sempre avuto questo desiderio di aiutare le persone, anche se so bene che il poker a volte ti fa sentire come su un polo opposto rispetto a questo", ha confessato tempo fa a Lee Davy in un'intervista su Calvinayre.com, ammettendo di conoscere le contraddizioni del suo mestiere: "Uno degli svantaggi di questo lavoro è che ti dà quasi la sensazione di non avere un posto nella società. Ma non fraintendetemi: essere un giocatore professionista mi piace molto e credo sia un'attività rispettabile, ma sai che se sei uno che ha voglia di migliorare il mondo ci devi mettere del tuo, anche grazie al molto tempo libero che questa attività ti concede."
E del suo Stuart ce lo mette, eccome. Insieme a un gruppo organizzato, da qualche anno Rutter gira le carceri di tutto il Regno Unito per dare supporto ai detenuti nel loro processo di riabilitazione. Un supporto che si concretizza in una sola, semplice parola: ascoltare.
"Quando hai davanti qualcuno che sta attraversando un momento duro, sai che non vuole la tua simpatia o compassione, ma ha bisogno di empatia. Riuscirci è già difficile di per sè, in un ambiente come quello carcerario è tutto più complicato ed è proprio questo che lo rende una grande sfida".
Dunque ascoltare, più che parlare. "Sì, una delle cose che la gente tende a fare qui è mettersi a dare consigli, e sicuramente ci sono situazioni in cui questo si può rivelare utile. Ma nella maggior parte dei casi, queste persone cercano più che altro qualcuno che li ascolti."
E di cosa parlano, i detenuti? "Questi ragazzi sono molto aperti, parlano di un sacco di cose con disinvoltura, ma in particolar modo della durata delle sentenze che stanno scontando. Non so perchè, ma c'è ormai una sorta di accordo tacito, istintivo tra noi, per cui se c'è una cosa che non chiedi mai quella è "perchè sei dentro?""
Ma Stuart Rutter non si accontenta, e ha intenzione di spingersi oltre: "passerò qualche notte in cella, perchè voglio capire ancora meglio cosa si prova." Un gesto che può apparire estremo, scriteriato o anche solo pericoloso per se stessi. Ma Stuart non è d'accordo "Le prime volte avevo un po' di paura, ma ora non più. Molti di questi carcerati sono ragazzi normali che si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Certo, alcuni sono delle vera canaglie, ma molti altri si sono trovati in situazioni complicate, prendendo la decisione sbagliata".

Avere a che fare con i carcerati significa avere a che fare con "tutti" i carcerati, anche quelli che hanno commesso i crimini più odiosi, come quelli sessuali. Rutter lo sa: "In carcere vigono delle gerarchie molto dure sul grado di rispetto da concedere alle persone, e in fondo a queste gerarchie ci sono sempre quelli che hanno commesso crimini sessuali. Le prigioni stesse sono organizzate con bracci separati per i prigionieri più esposti, e tra questi ci sono sempre i condannati per reati sessuali. Come essere umano lo trovo penoso, e vi assicuro che l'odio che il mondo prova per essi non è nulla rispetto a quello che ricevono dagli altri carcerati."
L'obiettivo concreto di chi si adopera in attività come questa è che il dialogo possa aiutare queste persone a sopravvivere alla carcerazione, e avere qualche chance in più per riuscire a rifarsi una vita una volta fuori. Si creano così rapporti di amicizia, anche se poi la speranza è quella di non rivedersi più, perlomeno lì dentro. "Capita che tu li saluti perchè stanno per uscire, e qualche mese dopo te li ritrovi di nuovo dentro. Ci stai male, ma l'unica cosa che devi pensare è cercare di dare il tuo contributo perchè il numero di quelli che ci ricascano sia il più basso possibile."
E poi ci sono le soddisfazioni, come i ragazzi che riescono a laurearsi durante la detenzione, regalandosi così nuove opportunità per la loro nuova vita.
Quella del supporto ai carcerati inglesi è un'esperienza dura e formativa, per Stuart Rutter, ma il suo impegno sociale non si esaurisce qui. "Qualche anno fa andai in Ghana per insegnare nelle scuole. Ho intenzione di tornarci, e dare una mano anche nelle loro carceri. Sarà un'esperienza diversa e le condizioni saranno di certo peggiori, ma è una cosa che voglio fare assolutamente, anzi è il mio principale obiettivo nel breve periodo."