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Game against the machine: a che serve risolvere il poker?

[imagebanner gruppo=pokerstars] Ad un primo sguardo, domandarsi perché interi gruppi di ricerca investano tempo e denaro nel cercare di elaborare un algoritmo sufficientemente sofisticato da risolvere un gioco come il poker potrebbe sembrare legittimo: in fondo, qualcuno potrebbe chiedersi, non ci sono problemi più importanti a cui dedicarsi?

Naturalmente da un certo punto di vista è probabile così, ma non bisogna commettere il grossolano errore di pensare che tutto questo sia una sorta di passatempo, portato avanti da una serie di personaggi un po' stravaganti che non sappiano bene come ammazzare il tempo, e questo Neil Burch - che ha contribuito col suo lavoro a risolvere il Limit Hold'em heads-up - lo sa fin troppo bene.

Infatti, il poker ha una caratteristica che lo rende diverso da altri giochi più o meno complessi, e proprio per questo molto più interessante per studi di questo genere: il fatto di essere un gioco ad informazioni incomplete, dato dal semplice fatto che in nessun punto della mano si conoscono le carte del proprio avversario, ad eccezione evidentemente dell'eventuale showdown.

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Questa caratteristica - ovvero che ci si debba confrontare con una situazione nella quale si cercano di compiere decisioni ottimali affrontando un certo grado di incertezza ineliminabile - fa sì che risolvere un gioco come il poker significherebbe fare passi importanti perché algoritmi analoghi siano in grado di risolvere problemi altrettanto e più complessi, nei più svariati ambiti come ad esempio la medicina, la sicurezza informatica, e chi più ne ha più ne metta: in fondo, nella realtà non conoscere tutte le variabili in gioco è una condizione comune.

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Una questione che, anche da un punto di vista strettamente tecnologico, non è facile da affrontare: "Risolvere giochi ad informazioni incomplete per i computer significa impiegare più memoria e capacità di calcolo - sottolinea - perché c'è la complicazione di non sapere esattamente quale sia lo stato del gioco in un determinato momento". E come sappiamo, l'heads-up Limit Hold'em non a caso è una delle varianti più semplici, grazie al fatto che ci sono solamente due giocatori coinvolti e che le entità delle puntate possibili sono fisse.

Ecco che allora anche chi si sta dedicando a cercare di "risolvere" il No Limit Hold'em heads-up - come il gruppo guidato da Tuomas Sandholm alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh - ha in realtà obiettivi ben più ambiziosi: "Gli algoritmi che sviluppiamo in verità non puntano a risolvere il poker, ma i giochi ad informazione incompleta in generale - sottolinea - il poker per noi è solamente un benchmark, un punto di riferimento che ci consente di verificare i nostri progressi anno su anno".

Un mezzo insomma, più che un obiettivo, uno strumento anziché un fine: in ogni caso, quindi, né un gioco né uno scherzo.

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