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Le sponsorizzazioni non funzionano: di chi è la colpa?

Randy Lew: un modello per qualunque proDiventare giocatori professionisti sponsorizzati è il sogno di molti appassionati, non di rado quello che per primo li ha avvicinati al poker e che coltivano con più o meno illusioni: una volta che questo accade però, quale dovrebbe essere l'atteggiamento più corretto del giocatore, e perché le sponsorizzazioni da qualche tempo sembrano essere andate in crisi, non solo in Italia?

La mia personalissima idea, contestabile in quanto tale, è che la colpa in alcuni casi sia da rintracciare nei giocatori stessi, che rischiano di fraintendere un'opportunità con un punto di arrivo, o che non sono abbastanza imprenditori di sé per sfruttare a pieno tutte le potenzialità della loro nuova condizione.

Partiamo dal più banale degli assunti: una poker room fa tutto quello che fa per convincere quante più persone possibili a giocare a poker, a farlo sul proprio sito ed a continuare a farlo lì e non altrove. Un giocatore sponsorizzato, quindi, è funzionale all'azienda che rappresenta nella misura in cui concorre in maniera diretta o indiretta al raggiungimento di questo obiettivo.

I più esperti, la nicchia, scelgono dove giocare in base a calcoli prettamente pratici, concreti: gli sponsorizzati dovrebbero quindi attrarre tutti gli altri, la massa. Già, ma come?

Scrivere su Facebook che stasera c'è un bel torneo a cui iscriversi è un primo passo, ma probabilmente da solo è ampiamente insufficiente, se non altro per un motivo: perché chiunque può fare altrettanto al tuo posto. Quindi, o fai qualcosa in più e di diverso e gli appassionati cominciano a seguirti non più perché sei il professionista di quella poker room ma perché sei quel giocatore (o quel personaggio), oppure rischi di essere facilmente rimpiazzabile, quando non addirittura inutile.

Prendete Randy "nanonoko" Lew, e la sua iniziativa di diventare Supernova Elite prima della fine del mondo. In sé può sembrare una stupidaggine, e poi perché un professionista del suo calibro, che guadagna cifre importanti, dovrebbe perdere parte del suo prezioso tempo per girare un video, montarlo, e volarsene a Vancouver a fare 10.000 VPP al giorno, quando avrebbe potuto prendersi tutto dicembre per farlo?

Greg Merson: sponsorizzato da Ivey, non da PokerStarsPerché "nanonoko" è un buon imprenditore di se stesso, e vuol far parlare di sé e quindi del brand che rappresenta anche se è da tempo "arrivato", garantendo a chi lo stipendia costante pubblicità indiretta. Pubblica video, scrive su Twitter, gioca moltissimo e trova anche il tempo di conversare in chat. E notate come con tutto questo le "bandierine" abbiano davvero poco a che fare.

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Se per una qualsiasi ragione PokerStars dovesse togliergli la sponsorizzazione domani mattina certo non sarebbe felice, ma potrebbe andare da un'altra poker room e dirle: "Genero infinita rake ogni anno, ho "X" persone che mi seguono su Twitter, "Y" persone che scrivono sulla mia pagina Facebook e "Z" iscritti al mio canale di YouTube, cosa c'è per me?". Ma probabilmente non succederà, perché comportandosi così ha saputo fare un buon lavoro, guadagnandosi potere contrattuale, che da persona intelligente vuole rinnovare ogni giorno, investendoci tempo ed energie.

Lew non è un surfista californiano inaccessibile, ma un ragazzino di forse 60 chili che porta un messaggio semplice: giocate bene, giocate tanto, e diventerete professionisti di successo. E' quindi un modello in cui il giocatore alle prime armi può riconoscersi e che può voler emulare, e facendolo corona gli interessi della poker room. Tutto questo certo lo si ottiene comunque investendo, ma senza aver speso un euro per pagare alcun buy-in di nessun torneo.

I tornei ormai sono troppi, i vincitori spesso tutti ugualmente anonimi, colpire l'immaginario diventa quindi difficile perché si viene dimenticati troppo in fretta, e forse è perfino superfluo che accada.

Infatti, se per diventare professionista devo vincere un grosso torneo, come potrò mai diventarlo? Non voglio diventare professionista proprio per giocarlo un giorno quel torneo? Ma se il professionista è un ventenne (come me), che agli esordi aveva poco denaro a disposizione (come me), ecco che tutto diventa più accessibile: il sogno sembra molto più realizzabile, e tutti sono contenti. O forse quasi.

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