Cosa sarebbe il mondo, senza l'invidia? Da Caino in giù, è forse il sentimento umano che più ha influito sulla Storia e sulle dinamiche sociali, generando contrasti e narrazioni indimenticabili anche per l'arte, la letteratura, il cinema. Come poteva il poker esserne alieno?
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INVIDIO, ERGO SUM
C'è però da operare alcuni distinguo. In generale, a differenza dell'odio vero e proprio, l'invidia porta con sé alcune conseguenze positive, o quantomeno non distruttive. Sull'invidia si fonda ad esempio tutta la società dei consumi, in quanto siamo continuamente invogliati ad acquistare beni e servizi “perchè ce li ha Tizio”. Da un'automobile a una posizione sociale, da uno smartphone a una fidanzata, dal fisico al conto in banca, tutto si può invidiare.
Soprattutto, non di rado l'invidioso può trarre dal suo sentimento uno stimolo per fare meglio, riuscendo a raggiungere obiettivi che magari sarebbero rimasti incompiuti in assenza di competizione. E di quest'ultima, in fin dei conti, l'invidia è proprio elemento indispensabile, anche se non l'essenza.

INVIDIA E LONG TERM
E se il poker si basa sul conflitto mentale ed è alimentato dallo spirito competitivo, è naturale che anche qui l'invidia trovi terreno ultra-fertile. Anzi, per certi versi nel nostro mondo l'invidia è fisiologica: trattandosi di un gioco in cui la bontà delle decisioni si misura sul lungo periodo, ma vivendo ciascuno di noi il proprio "oggi" e un implicito confronto quotidiano con gli altri, è normale che si vengano a creare situazioni di rosicamento: parlando con un cashgamer che tiene win rate irreali mentre noi siamo 300 stack sotto ev nell'ultimo mezzo milione di mani, o leggendo di un torneista che shippa 5-6 tornei importanti all'anno mentre a noi esplodono di tutto in late stage, è facile provare dell'invidia. Ed è anche giusto, in fondo, quando c'è forte discrepanza fra gli sforzi profusi per raggiungere un determinato risultato e i profitti maturati al tavolo, quando la linea rossa è troppo più in alto rispetto a quella verde.
IL MALE DEL SECOLO: L'INVIDIA PERCEPITA
I problemi – nella vita e dunque anche nel poker – nascono quando il rapporto tra l'invidia e le altre dinamiche umane si altera, e la prima assume un peso eccessivo nel background sociale di un popolo, e anche nel suo portato culturale.
Proprio quello che sta accadendo da noi negli ultimi anni: è in corso una generale tendenza alla superficialità e alla banalizzazione, un'allergia all'approfondimento che esalta la fatuità e la sopravvalutazione di sé.
Sparisce l'introspezione, viene a mancare la capacità autocritica. Dalla politica in giù, in un imbarazzante effetto domino, la dialettica si riduce a scontro virile tra posizioni opposte, mera tifoseria, plebiscitarismo. Se mi critichi, se non ti piace come lavoro, se parli male del libro che ho scritto, se pensi che non meriti i soldi che ho vinto e persino se non mi saluti per strada, è sempre e solo per un motivo: sei invidioso.
Così, anche i più idioti dell'universo possono autoconvincersi di essere nel giusto e di essere solo vittime di malvolenza. Basta qualche decina di like al loro post delirante per dare ad esso dignità letteraria, e al suo autore fama imperitura.
"CIAO ROSICONIIIIIII" (CIT.)
Tornando al poker, tuttavia, questa tendenza un po' anarcoide può solo far danni. Sentirsi costantemente vittima d'invidia mette una corazza tra noi e la nostra capacità di migliorare. Dove l'invidia provata può trasformarsi in stimolo positivo e indurci a dare ancora di più per superare i leak e cercare di raggiungere anche noi i risultati di qualche collega, quella percepita rischia di privarci dell'umiltà necessaria per vedere i nostri eventuali errori, e correggerli.
Pensare che gli altri siano solo invidiosi di noi è come un deux ex machina, un colpo di spugna che lava tutto, una ricetta buona per tutte le stagioni e che ci fa uscire sempre vincitori... allo specchio.
Come è logico che sia, più un certo atteggiamento autoreferenziale e smisuratamente egocentrico si diffonderà, più marcato sarà il confine tra la massa e l'elite dei top player. Infatti non credo di aver mai visto un giocatore VERAMENTE forte, italiano o straniero, prendersela coi “rosiconi”, in particolare dopo una vittoria.