Lo chiamavano "No Home Jerome", l'uomo senza casa, perché sembrava non avere altro tetto che le cupole dei casinò del mondo dove sedeva imbullonato a tavoli di poker e di baccarat, mungendo milioni, gloria, trofei e interviste. E, se ha ragione il "Borgata Casino e Hotel" di Atlantic City, barando.
Non c'è nulla da fare: la penna di Vittorio Zucconi per Repubblica ha sempre il suo perché... Le sue storie conquistano… E quando il noto giornalista italiano dedica le sue attenzioni agli spaccati di vita americana, si supera. Siamo suoi fan, non riusciamo a nasconderlo. Proprio per questo la delusione è doppia. E la storia interessa perché è stata ripresa anche da DagoSpia nella sua rassegna quotidiana.
Peccato perché quando parla di Phil Ivey, poteva firmare l'ennesimo capolavoro ed invece va fuori dalle righe a nostro avviso, confondendo in maniera sorprendete il giocatore di poker dal gambler, pronto a sfruttare un grosso bug di un casinò.
La vita di Ivey - senza ombra di dubbio - è una storia affascinante, ma proprio per questo andava raccontata, non romanzata. Ed invece si gioca su un grosso equivoco e si identifica la carriera di "No Home Jerome" con quella del peggior baro, dando per scontato che Ivey abbia usato l'edge sorting anche ai tavoli da poker. Ma questa tecnica non si usa solo quando le carte hanno un difetto di fabbricazione?
Al limite potevamo capire un attacco ad Ivey per essere recidivo, ma siamo certi che la sua tecnica sia illegale contro il banco? La vita di Ivey si è trasformata in una storia di bari, quando il poker con le sessioni di baccarat al Borgata, non c’entra proprio nulla (portateci le prove del contrario, please!).
In questa sede, non discutiamo se Ivey ha ragione o meno nella vicenda che l’ha visto protagonista due anni fa al Borgata (ce ne siamo occupati in un altro speciale) ma critichiamo l’atteggiamento della stampa non specializzata, di voler giocare con gli equivoci ed etichettare l’intera carriera del player californiano, come quella di un truffatore seriale a qualsiasi tavolo.
Leggiamo alcuni estratti:
Soltanto anni di certosina applicazione, 24 ore su 24, possono portare un giocatore con gli occhi di laser e la concentrazione di un'aquila su una lepre a riconoscere le carte da microscopiche differenze nella stampa e nel taglio.
A 38 anni, dopo 21 consumati nei casinò dove aveva esordito con documenti falsi per passare da 18enne, l'età minima per giocare, aveva perfezionato questa disumana abilità. Il solo indizio che stesse facendo qualcosa di strano era la sua insistenza nel chiedere che il mazziere distribuisse le carte molto lentamente (in realtà Ivey l'ha chiesto solo in occasione delle sue sessioni a baccarat, non in 20 anni di poker, ndr).
No Home Jerome" non truccava le carte, non smazzava da sotto, non usava specchi o complici, ma le leggeva alla rovescia.
Nel Texas Hold'em, letteralmente "Texas Tienile", a ogni giocatore sono distribuite due carte coperte che non possono essere cambiate. Il dealer ne scopre prima tre al centro del tavolo, il flop, poi un'altra, il turn e infine una quinta, il river, il fiume, richiamo ai battelli casinò che incrociavano il Mississippi gonfi di pokeristi che spesso raggiungevano le acque fangose del grande fiume padre del Nord America, se scoperti a barare. Tra le proprie due carte coperte e iniziali e le cinque comuni a tutti scoperte i giocatori formano le combinazioni tradizionali del poker e puntano.
Conoscere quali siano le carte coperte dell'avversario offrirebbe un vantaggio colossale e questo, l'asso degli assi, il miglior pokerista del mondo secondo i siti e gli esperti nella prima decade del Duemila, faceva, dando una robusta spintarella alla fortuna.
Altre mazzate attendono la casa produttrice delle carte con il vizietto di fabbricazione che "No Home Jerome" sapeva leggere, ma alla fine il gioco deve continuare. Ivey sarà un altro di una lunga tradizione di uomini e ormai molte donne che si credono più bravi della fortuna.
Scaricheranno anche lui dal battello immobile del poker, le pale della "riverboat" continueranno a girare e le acque si richiuderanno sul suo ricordo, come si richiusero su Stu Ungar, forse il più grande di tutti. Era il fuoriclasse che il 22 novembre del 1998 entrò nella stanza numero 6 dell'Oasis Motel di Las Vegas, vuotò una bottiglia di bourbon e si uccise accanto al letto coperto dai dollari che aveva vinto.
Il re del poker che sbanca il Borgata Casinò e viene citato per aver usato una strategia precisa per sfruttare un leak del banco, poteva essere l'inchiostro perfetto per Zucconi. Ed invece, ci dispiace dirlo, questa volta è venuta fuori una verità molto fuorviante sul mondo del poker e il suo re. Ed è un vero peccato.
Non è inoltre molto elegante paragonare i problemi di tossicodipendenza di Stu Ugar (finiti nel dramma) con la querelle Ivey-Borgata, ma il punto è sempre uno: è giusto confondere un episodio (la presunta, ma molto presunta frode di Ivey a baccarat) con le migliaia di partite giocate dal player californiano a texas hold'em. La verità interessa sempre a qualcuno o sono più importanti le metafore?