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Gus Hansen e un "mostro" all'Aussie Millions

Gus Hansen dopo la vittoria all'Aussie Millions 2007In un mano tratta dal fortunato libro “Every Hand Revealed”, Gus Hansen ci spiega passo-passo tutto il suo thinking-process in una situazione di gioco capitata al Main Event dell’Aussie Million 2007 contro Lee Nelson, già campione dello stesso torneo nell’anno precedente e apprezzato autore di libri di poker quali Kill Phil e Kill Everyone.

Con bui 4000/8000, in posizione di small blind e con uno stack di 389.000 chips, Gus riceve dal dealer a q . “Lee Nelson era appena stato spostato al mio tavolo e aveva aperto da middle-position di 24.000. Ho deciso di fare call, mentre il giocatore sul Big Blind ha foldato. Sul flop scendono q q 4 ed ho subito pensato che quelle carte fossero decisamente a mio favore. Ho dunque fatto check e, come previsto, Lee ha subito puntato 44.000 su un piatto di 64.000. L’azione è tornata di nuovo a me e, con un “mostro” come trips di Q e top kicker, potevo agire in diversi modi:
1. Fare call per cercare d’intrappolarlo. Questa mossa mi tentava molto, visto che a terra non c’erano possibili draw. Tuttavia, una simile opzione non mi consentiva di far crescere abbastanza il piatto. Inoltre, per mettere a segno un buon tranello, dovevo fare check anche sul turn e in quel modo rischiavo di far vedere a Nelson due carte gratuite e questa cosa decisamente non mi piaceva.
2. Un min-raise, raddoppiando la sua puntata fino a 100.000. Ciò mi dava la possibilità di tenere Lee nel piatto costringendolo a mettere dentro dell’altro denaro. Quell’azione inoltre poteva essere interpretata come un mio economico tentativo di steal, e questo poteva indurlo magari a contro-rilanciarmi – cosa che naturalmente avrei gradito molto.
3. Un rilancio standard, diciamo fino a 150.000. Potevo far crescere maggiormente il piatto ma rischiavo anche di fargli foldare qualche mano marginale. Era comunque un’alternativa da tenere in considerazione.

Alla luce di queste riflessioni, comunque, il min-raise era onestamente l’opzione che mi piaceva di più e quindi ho rilanciato fino a 100.000. Lee ci ha pensato un po’ e poi, quasi a sorpresa, è andato direttamente all-in per un totale di 326.000. Naturalmente era piuttosto felice di questa sua scelta e non ha esitato un attimo per effettuare il call. Dopo tutto avevo il terzo nuts, anche se più probabilmente avevo la miglior mano possibile, considerando il fatto che Nelson avrebbe giocato le sue carte in maniera sicuramente diversa se avesse avuto Q-4 o 4-4”.

Le chips nel piatto sono dunque 716.000 e la mano diventa quindi cruciale per il prosieguo del torneo dei due giocatori, perchè Hansen aveva dietro ancora 50.000 chips ma Lee invece aveva messo in gioco tutto il suo stack e di conseguenza chiunque avesse vinto quella mano si sarebbe ritrovato certamente in posizione ottimale per il raggiungimento del final table.

Lee NelsonSi va dunque allo showdown: Lee Nelson mostra k 9 per un flush draw che - rispetto alla mano di Gus - aveva circa un 23% di vittoria prima del turn. La quarta carta è un j che, nonostante apra a Lee anche un progetto di scala ad incastro, lascia comunque immutate le sue possibilità di vittoria. Sul river, infine, scende un inutile 3 che regala la vittoria dell’enorme piatto a “The Great Dane”.

"Ma cos’è successo esattamente?” si è interrogato Gus. “Come abbiamo fatto a generare un pot così grande in quella fase del torneo? Vediamo di capirlo insieme ripartendo esattamente dall’inizio: Lee apre da middle con K-9 e sicuramente questa è una giocata che mi piace. Il mio call dai bui con AQ sicuramente non è il massimo, infatti di solito mi oriento più per un re-raise.
Ma da fuori posizione e contro un’avversario forte e con un grosso stack, il call è una giocata più conservativa. Il check al flop va bene perchè sapevo che Lee avrebbe sicuramente fatto una continuation-bet con qualsiasi combinazione di carte. E difatti Nelson ha agito proprio in quel modo puntando sul flop con il suo flush draw. Del mio min-raise ve ne ho già parlato.

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Quanto invece al suo push, beh non sono proprio d’accordo con questa giocata. A mio avviso era meglio chiamare, almeno per vedere come si mettevano le cose sul turn. In fondo era in posizione su di me e potevi quindi regolarsi in base alla mia successiva mossa. Se non avevo nulla potevo fare ancora check e lui allora avrebbe potuto rubarmi il piatto semplicemente con un buona puntata. Se invece avevo una Q, sul turn sarei probabilmente andato all-in e lui avrebbe potuto tranquillamente buttar via le carte senza perdere tutto il suo stack. Non dimentichiamoci, inoltre, che se sulla quarta street ne scendeva una di fiori ai resti ci saremmo finiti comunque, con me che purtroppo sarei stato quasi drawing-dead.

Come potete vedere, flat-callare gli avrebbe permesso di ottenere un sacco d’informazioni sulla consistenza delle mia mano e gli avrebbe consentito di vedere a buon prezzo se si chiudeva il suo progetto di colore.

Inoltre, contrariamente a quello che pensano in molti, io sono un giocatore molto tight – almeno in situazioni come questa. Molto raramente, infatti, vado di check-raise con il nulla su flop come questi e contro i big-stack. Stavo bene a chips e non ero alla ricerca spasmodica di un’occasione per mettere a segno un grosso bluff. Riguardando la mano ancora ed ancora, Nelson avrebbe potuto mettermi su una Q oppure un flush draw all’asso. E carte come K-9 non hanno buone possibilità di vittoria in nessuna di queste due ipotesi.
In verità, non ho ancora ben capito perchè Nelson sia andato all-in, ma credo fermamente che la mia reputazione di giocatore abbia influito pesantemente sulla sua scelta finale.”

 

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