Il mondo del poker e quello degli investimenti hanno moltissimi punti in comune, soprattutto per quanto riguarda la gestione del rischio e del bankroll. Ciononostante, è risaputo che i professionisti del poker raramente riescono a ottenere gli stessi risultati quando passano dal tavolo verde ad altre attività. A Las Vegas, ad esempio, ci sono decine di casi di stimati giocatori che hanno perso tutto ciò che avevano vinto investendo nel settore immobiliare, un terreno dove è meglio non mettere piede se non si è estremamente preparati.
La storia di Mike Sexton è differente, perché non si tratta di perdite ma di un guadagno che sarebbe potuto essere più di trenta volte superiore se avesse aspettato ancora per qualche anno. Il neo-campione del World Poker Tour ne ha parlato nel corso del podcast con il solito Joe Ingram.
"Immaginate di avere 7-5 in mano e di rilanciare", dice Sexton per spiegare in chiave pokeristica ciò che gli successe più di dieci anni fa. "Due vostri avversari rilanciano talmente tanto che siete costretti a uscire dalla mano e tenervi lo stack che vi rimane. Sul flop scende 6-4-8 ed entrambi vanno ai resti. Voi avreste floppato scala nuts ma avete foldato: questo è ciò che mi è successo con la vendita delle mie quote di Party Poker".
Siamo nel 2001 e Party Poker è il più grande sito di poker online al mondo. Parliamo di un autentico colosso, forse addirittura più grande di quanto lo sia Pokerstars al giorno d'oggi. Mike Sexton è uno dei proprietari della poker room e ha un ruolo di gestione diretta: decide che giochi offrire e a che limiti, come impostare il marketing e come collegare la piattaforma online con il mondo live.
"Il primo agosto del 2001 abbiamo lanciato Party Poker (curiosamente, un mese e dieci giorni prima del lancio di Pokerstars, ndr). Io ero lì dall'inizio, ho visto come è cresciuta", ricorda il veterano. "All'epoca avevamo messo un solo tavolo che qualificava per le semifinali del Party Poker Million, un torneo che avevo ideato personalmente. Attraverso questo torneo online avremmo qualificato 100 persone, le avremmo portate su una nave di crociera con un ospite e $500 a da spendere a bordo e gli avremmo dato la possibilità di giocare un torneo con un milione di dollari garantiti al primo".
Come è facile intuire, erano altri tempi. Il poker online doveva ancora esplodere ma qualcuno (tra cui lo stesso Sexton) aveva già intuito il suo potenziale e voleva investire pesantemente in questo settore. L'idea di Mike fu geniale e funzionò alla grande. Questo torneo, insieme alle centinaia di migliaia di dollari spesi in pubblicità televisiva, fece decollare Party Poker.
"Siamo stati i primi a sponsorizzare il poker online in televisione, così facendo abbiamo moltiplicato i nostri introiti di dieci volte. Il resto è storia: un business nato senza finanziamenti esterni e autogestito è stato quotato in borsa quattro anni più tardi con una valutazione di 9 miliardi di dollari".
Purtroppo, però, Mike non riuscì a godersi quel momento straordinario. Tra il 2002 e il 2003, circa un anno prima dell'entrata in borsa, decise di vendere il 6% delle sue azioni di Party Poker. Ovviamente non poteva sapere cosa sarebbe successo, poteva solo fare una previsione personale. E la sua previsione, sfortunatamente, fu sbagliata.
"Un anno prima di essere quotati in borsa ero l'ultimo azionista residente negli Stati Uniti", ricorda con rammarico. "Il poker online era ancora un'area grigia, non sapevamo se fosse legale o illegale negli States. Così gli altri azionisti si sono offerti di comprare il mio 6%. Loro mi volevano dare 10 milioni di dollari, ma io ne volevo 15. L'affare stava per saltare ma alla fine si sono riuniti e hanno deciso che mi potevano dare questi 15 milioni di dollari. Non avevo accesso ai libri contabili ma scelsi comunque di accettare".
Sulla decisione ebbe un peso non indifferente anche la sua situazione finanziaria personale di quegli anni: "All'epoca non avevo molti soldi, ero broke. Non avevo granché a mio nome ma non volevo accontentarmi di 10 milioni. Mi offrirono 15 milioni di dollari ripartiti in questo modo: 5 milioni di dollari subito, in contanti; due milioni di dollari all'anno per i prossimi cinque anni. Non potevo proprio rifiutare questa offerta, perché pensavo che (vista anche la modalità del pagamento, ndr) mi sarebbero bastati per il resto della mia vita. E in effetti è poi andata così...".
15 milioni di dollari sono tanti, ma a pensare a quanto sarebbe stato valutato il suo 6% poco più di un anno dopo la vendita, Mike non può che provare grande amarezza: "Vendere le mie azioni in quel momento mi è costato 500 milioni di dollari, perché successivamente Party Poker è stata valutata 9 miliardi di dollari. Ma insomma, cosa vuoi che siano 500 milioni di dollari? (ride, ndr)".
Quello che Mike non sottolinea è che, dopo un periodo di crescita inarrestabile, Party Poker ha subito un brusco stop quando ha deciso di ritirarsi dal mercato americano in seguito all'UIGEA. Era il 2006 e questa decisione permise a Pokerstars e Full Tilt Poker (che invece continuarono ad operare negli States) di prendersi tutti i giocatori americani, riducendo drasticamente il giro di affari della storica poker room.
Al giorno d'oggi, il 6% di Party Poker (che è stata acquistata da Bwin) vale molto meno di 15 milioni di dollari. Quindi, caro Mike, torniamo a quella mano con 7-5: è vero che hai la scala nuts sul flop, ma tra turn e river i tuoi avversari hanno trasformato i loro in set in un fullhouse!
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