Eric Hollreiser, responsabile della comunicazione di PokerStars, ha ricordato di un precedente “confronto” ravvicinato del terzo tipo tra l’Agenzia delle Entrate Italiane e la room dell’Isola di Man (ma sarebbe più corretto parlare dell’Isola di Malta in questo caso).
Hollreiser ricorda che in quella occasione, PokerStars.it pagò oltre 120 milioni di euro di tasse per gli anni oggetto della verifica.
Ma in pochi sanno che PokerStars ha già ottenuto, nel gennaio del 2014, una sentenza favorevole da parte della Corte di Cassazione che ha annullato un sequestro cautelare su fondi per oltre 14 milioni.
Dell’indagine, anche in passato, si sono raccolte solo notizie frammentarie, ma la conclusione fu resa nota (seppur nel caso non fu specificato il nome della società in oggetto, PokerStars), con la sentenza della Corte di Cassazione (del 14 gennaio 2014, numero 1811) favorevole al primo sito di poker italiano.
Non possiamo capire se questo precedente possa o meno essere attinente alla nuova contestazione per presunta evasione fiscale, visto che il comunicato della Guardia di Finanza è criptico in diversi passaggi. Non abbiamo in mano le (presunte) prove documentali per poterci fare un’idea sulla fondatezza o meno delle contestazioni.
Con ogni probabilità, si farà luce sulla vicenda nella competente Commissione Tributaria. Il caso però verte sul concetto di domicilio fiscale, come ha tenuto a ribadire Eric Hollreiser. E la Cassazione, nella sentenza in oggetto, ha dato ragione a PokerStars, proprio su questo punto, accogliendo le tesi dei legali della room.
L’autorevole precedente ci aiuta a comprendere perché le autorità italiane non hanno voluto disporre alcun sequestro preventivo sui fondi di PokerStars, visto che si parla di ricavi, pari a 300 milioni, non dichiarati, secondo la tesi della Guardia di Finanza.
E in un recente passato, le autorità italiane hanno provato a sequestrare i conti di un altro bookmaker maltese: StanleyBet. Il tentativo però si è rivelato un vero e proprio buco nell’acqua.
In questo Articolo:
Il precedente
Nel 2013 furono sequestrati (provvedimento disposto dal Giudice per le indagini preliminari di Busto Arsizio) più di 14,2 milioni di euro dalla Banca Euromobiliare, su un conto intestato a REEL Italy Ltd, la società che detiene i diritti di PokerStars.it.
In questo caso le contestazioni vertevano sempre su sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte per “avere tentato di trasferire somme inizialmente depositate su un conto corrente italiano, intestato alla R., in favore di un rapporto di conto corrente, ugualmente intestato alla Società, in essere presso un conto estero, e ciò al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto; b) all'art. 5 d.lgs. 74/2000 (omessa dichiarazione), per la ragione che la società, formalmente straniera perché sedente a Malta, ma avente sede operativa e amministrativa ed oggetto principale nel territorio dello Stato, sarebbe tenuta alla presentazione della dichiarazione dei redditi e IVA in Italia”.
Tribunale Riesame
Il Tribunale del Riesame però “ha escluso la sussistenza di una stabile organizzazione della R. in Italia, perché questa non ha qui una sede di direzione, né una succursale, essendo il server di gioco, necessario per esplicare l'attività della società, ubicato all'estero”.
Il Tribunale, in secondo luogo, ha anche escluso una fittizia localizzazione della residenza fiscale, ossia ha escluso che la REEL Italy Ltd abbia “sede effettiva in Italia, perché qui verrebbero in concreto svolte le attività amministrative e di direzione dell'ente, in quanto in realtà in Italia viene svolta la sola attività di assistenza on line alla clientela e non anche la più complessa attività di gestione della piattaforma informatica necessaria per l'esercizio dei giochi on line”.
Ciò posto, il tribunale del riesame – scrive la Cassazione - ha però ritenuto che la REEL Italy LTD deve considerarsi soggetta agli obblighi tributari italiani, agli effetti dell'art. 73 TUIR, poiché la stessa opera nel mercato on line italiano, in virtù di una concessione pubblicistica, rilasciata dallo Stato italiano. Ha poi riconosciuto che, avendo la società sede legale a Malta, esiste un conflitto di doppia imposizione, e poiché non è possibile dirimerlo, la società dovrebbe considerarsi fiscalmente residente anche in Italia. Il tribunale, infine, ha ravvisato la sussistenza sia di un vincolo di pertinenzialità tra le somme depositate nel conto oggetto di sequestro e i reati per i quali si indaga, sia del periculum in mora”.
Ricorso in Cassazione: tesi difensiva
PokerStars però ha impugnato la decisione del Tribunale del Riesame con ricorso in Cassazione. Gli avvocati difensori sostenevano che
1) “REEL Italy Ltd ha a Malta sia la sede legale sia anche la sua sede di amministrazione e la direzione. Ha però ritenuto che in Italia è localizzato l'oggetto principale della Società sulla base del solo dato formale costituito dalla titolarità della concessione italiana e dal fatto che il mercato di riferimento è quello nazionale…. Ciò in quanto l'oggetto principale coincide con l'attività concretamente svolta che, nel caso di R., si sostanzia nella gestione della piattaforma di gioco on line, mentre la concessione costituisce solo un presupposto per poter, poi, esercitare tale attività. Ora, la stessa ordinanza impugnata ha riconosciuto che l'attività di gestione della piattaforma di gioco non è in alcun modo svolta in Italia ma interamente all’estero. Ricorda poi che la normativa di settore (art. 24 legge n. 88/2009), conformemente al principio comunitario della libertà di stabilimento, consente che i concessionari italiani abbiano la sede legale in uno degli Stati dello spazio economico europeo, non richiedendo alcuna correlazione tra l'offerta del gioco nel territorio dello Stato e la sede del concessionario nel medesimo territorio. Vi è dunque stata erronea applicazione dell'art. 73 TUIR, risultando per tabulas che l'oggetto principale della Società è la gestione della piattaforma di gioco e che tale concreta attività non viene svolta in Italia, ma interamente all'estero e da soggetti esteri”.
2) insussistenza del fumus commissi delicti in relazione all’art. 4 dell’Accordo internazionale sulle doppie imposizioni tra Italia e Malta, il quale stabilisce che la persona giudica debba considerarsi residente nello Stato in cui è localizzata la sede di direzione effettiva dell'ente. Si tratta di criteri e principi stabiliti dalla Convenzione OCSE e posti a base degli accordi internazionali sulla doppia imposizione stipulati tra i Paesi membri dell'organizzazione e, quindi, vincolanti per gli Stati firmatari. L’Accordo tra Italia e Malta per evitare le doppie imposizioni recepisce, ovviamente, il criterio unico della direzione effettiva necessaria per incardinare la residenza della società in caso di conflitto. Ne consegue che in caso di conflitto di imposizione tra Italia e Malta, è necessario individuare un unico Stato in cui incardinare la residenza fiscale dell'ente che è quello in cui effettivamente e stabilmente la società ha la direzione effettiva.
Nella specie il tribunale del riesame ha riconosciuto l'esistenza di un conflitto di imposizione tra Italia e Malta ma non ha applicato le norme pattizie per risolverlo. Infatti, da un lato, ha ravvisato (erroneamente) la residenza di R. in Italia con riferimento al criterio dell'oggetto principale e, dall'altro, ha riconosciuto il collegamento con lo stato Maltese poiché ivi è stabilita la sede legale della Società, ma invece di individuare necessariamente un solo Stato di residenza, ha erroneamente sostenuto che la società debba considerarsi fiscalmente residente anche in Italia. E ciò pur avendo affermato di escludere che la sede di direzione effettiva fosse in Italia.
3) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 321 cod. proc. pen. con riferimento al vincolo di pertinenzialità tra somme sequestrate e reati ipotizzati. Osserva che tale vincolo può ritenersi sussistente solo nel caso di coincidenza tra le somme sottoposte a sequestro e i proventi dell'impresa, quali elementi di reddito sottratti all'Erario. Il tribunale del riesame, invece, non ha riscontrato nessun elemento per identificare questa coincidenza e si è limitato ad affermare che le somme sequestrate non possono rappresentare solo le somme di pertinenza dei giocatori, mentre era stato documentato che si trattava del conto di gioco dedicato e quindi vi era l'impossibilità che le somme in esso depositate rappresentassero proventi di impresa, poiché rappresentavano solamente la sommatoria dei saldi presenti sui conti di gioco dei giocatori.
4) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 321 cod. proc. pen. in relazione alla insussistenza del periculum in mora. Ricorda che a tal fine occorre un accertamento concreto della effettiva, e non generica, possibilità che il bene assuma carattere strumentale rispetto all'aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato. Il tribunale del riesame si è invece limitato ad evidenziare la natura monetaria dell'oggetto del sequestro di cui sarebbe agevole l’occultamento. Si tratta di motivazione apparente, valevole per la quasi totalità dei sequestri preventivi, non idonea a soddisfare il requisito di concretezza richiesto. Del resto le somme sequestrate sono di pertinenza dei giocatori e, in ragione degli obblighi imposti al concessionario, sono di fatto già "indisponibili" e inutilizzabili dalla Società.
Motivi della decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha riconosciuto la fondatezza del ricorso. Ecco i motivi:
1. “Il ricorrente esattamente ricorda, innanzitutto, che i criteri per la determinazione della residenza fiscale per le società di capitali e gli enti sono stabiliti dall'art. 73 TUIR, il quale dispone che: «Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato».
Secondo la giurisprudenza, la sede legale coincide con il luogo indicato nello statuto della società o dall'atto costitutivo. Peraltro, la sede legale può essere fittizia e non coincidere con quella effettiva. Quest'ultima va intesa come il luogo in cui opera il centro direttivo e amministrativo della società, ove avviene il compimento di atti giuridici in nome di essa, con l'abituale presenza degli amministratori, investiti della relativa rappresentanza (Sez. IlI, 24.1.2012, n. 7080, Barretta).
La sede della amministrazione è il luogo in cui si esplicano la direzione e il controllo dell’attività; in particolare, qualora gli amministratori risiedano all'estero, ma svolgano le proprie funzioni a mezzo di procuratori operanti in Italia, si dovrà individuare in Italia il luogo della concreta messa in esecuzione da parte dei predetti procuratori delle direttive ad essi impartite e, quindi la residenza fiscale societaria. Secondo la giurisprudenza, «la nozione di sede dell'amministrazione (...), in quanto contrapposta alla nozione di "sede legale", deve ritenersi coincidente con quella di "sede effettiva" (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell'attività dell'ente» (Cass. civ., Sez. V, 7.2.2013, n. 2869).
Il criterio dell’oggetto principale dell'attività ha natura residuale ed è regolato dai commi 4 e 5 dell'art. 73 TUIR, che stabiliscono che per oggetto principale si intende «l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto» e che, in mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle forme di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, si deve aver riguardo «all'attività effettivamente esercitata».
Quindi, per identificare la nozione di attività principale necessita fare riferimento a tutti gli atti produttivi e negoziali, nonché ai rapporti economici, che lo stesso ente pone in essere con i terzi, e per individuare il luogo in cui viene a realizzarsi l'oggetto sociale rileva, non tanto quello dove si trovano i beni principali posseduti dalla società, quanto la circostanza che occorra o meno una presenza in loco per la gestione della attività dell'ente. Secondo la giurisprudenza, l'oggetto principale non rappresenta un criterio formale, ma un dato "sostanziale", che si allinea ai criteri di individuazione dell'effective place of management and control elaborati in ambito internazionale dall'art. 4 del Modello OCSE, anche se però non vi è una perfetta sovrapposizione di concetti, in quanto il requisito di effettività - che impone una ricerca del luogo di residenza in concreto - nella norma nazionale di cui all'art. 73 TUIR si riferisce alla attività esercitata, mentre nell'art. 4 del Modello OCSE, al luogo di gestione effettiva, cioè il luogo in cui sono prese in sostanza le decisioni importanti di gestione (key management) e quelle commerciali, necessarie per l'andamento dell'ente commerciale nel suo complesso (cfr. Sez. II, 22.11.2011, n. 7739 del 2012, Gabbana).
Esattamente, il ricorrente evidenzia ancora che le norme fiscali italiane, qui richiamate, devono essere interpretate e applicate, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, in modo da non ostacolare le libertà sancite dai Trattati dell'Unione e, in particolare, la libertà di stabilimento. La Corte di giustizia ha invero chiarito che la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa, non costituisce abuso della libertà di stabilimento e che la misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa solo se concerne specificatamente le costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica (cfr., sentenza del 12 settembre 2006, caso C-196-04, Casbury Schweppes, punti 35, 37).
2. Nel caso di specie il tribunale del riesame ha riconosciuto l'impossibilità di incardinare la residenza della Società nel territorio italiano mediante i criteri di collegamento della sede legale e della sede dell'amministrazione, poiché R. ha sede legale a Malta come anche la sua sede di amministrazione e direzione (pag. 3; v. anche pag. 4, in cui il tribunale stabilisce che non vi sono sufficienti elementi che indichino che in Italia (...) vengano in concreto svolte le attività amministrative e di direzione dell'ente).
Il tribunale ha poi, però, ritenuto che in Italia è localizzato l'oggetto principale della Società sulla base del solo dato formale costituito dalla titolarità della concessione italiana e dal fatto che il mercato di riferimento è quello nazionale.
Questa opinione non può però essere condivisa, in quanto il dato formale della "nazionalità" della concessione o del mercato di riferimento non si concilia con la definizione di oggetto principale desumibile dal dettato della norma e dalla sua interpretazione giurisprudenziale. Invero, l'oggetto principale coincide con l'attività concretamente svolta che, nel caso di R., si sostanzia nella gestione della piattaforma di gioco on line, mentre la concessione costituisce solo un presupposto per poter, poi, esercitare tale attività.
D’altra parte, lo stesso tribunale del riesame ha riconosciuto che l'attività di gestione della piattaforma di gioco non è in alcun modo svolta in Italia (cfr. pag, 4, dove si dice che l’attività qui svolta, consistente nella mera assistenza online alla clientela, non potrebbe certo esaurire la più complessa attività di gestione della piattaforma informatica che R.I. deve necessariamente svolgere per l'esercizio dei giochi on line), bensì interamente all'estero.
Del resto la normativa di settore (art. 24 L. n. 88/2009), conformemente al principio comunitario della libertà di stabilimento, consente che i concessionari italiani abbiano la sede legale (...) in uno degli Stati dello Spazio economico europeo, sostanzialmente non richiedendo alcuna correlazione tra l'offerta del gioco nel territorio dello Stato e la sede del concessionario nel medesimo territorio. Questa possibilità di svolgere l'attività dall'estero, si spiega evidentemente in ragione della peculiarità del gioco a distanza, che è fornito mediante piattaforme on line, per cui è ben possibile la gestione dell'attività fuori del territorio dello Stato che ha rilasciato la concessione ed in cui risiedono i soggetti cui il gioco viene offerto (e quindi dal mercato dì riferimento).
Conclusioni della Cassazione
In conclusione, appare esservi stata una erronea applicazione dell'art. 73 TUIR, risultando per tabulas che l'oggetto principale della Società è la gestione della piattaforma di gioco e che tale concreta attività non viene svolta in Italia, ma interamente all'estero e da soggetti esteri.
3. Peraltro, appare esservi stata una erronea applicazione anche delle norme internazionali contro le doppie imposizioni applicabili al caso di specie. Va invero considerato il "Modello di Convenzione sulla doppia imposizione sul reddito e sul patrimonio" adottato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) proprio per regolare a livello internazionale il fenomeno della c.d. doppia imposizione. In particolare, al fine di attenuare l'insorgere di fenomeni di "dual residence" ed evitare, conseguentemente, una doppia imposizione fiscale, l'art. 4 della Convenzione, stabilisce che la persona giudica debba considerarsi residente solo ("only" nella versione inglese) nello Stato in cui è localizzata la sede di direzione effettiva dell'ente ("place of effective management').
Il criterio della direzione effettiva deve intendersi, ai sensi del par. 24 del Commentario all’art. 4 della Convenzione OCSE, come il luogo dove sono compiute le decisioni chiave in riferimento alla conduzione dell'attività societaria, sia sotto il profilo manageriale che sotto il profilo commerciale e, quindi, il luogo dove la persona o il gruppo di persone (per esempio un consiglio direttivo) con la maggiore anzianità prende le proprie decisioni, il luogo dove le iniziative, globalmente intese, che l'ente dovrà adottare sono determinate.
Il criterio della "sede di direzione effettiva" costituisce, pertanto, lo strumento da utilizzare per la soluzione dei potenziali conflitti tra differenti ordinamenti tributari e, quindi, per l'individuazione dell'unico Stato in cui incardinare la residenza fiscale.
Ora, i criteri e i principi stabiliti nella Convenzione OCSE e nel suo Commentario hanno costituito la base per la negoziazione e la stesura degli accordi internazionali sulla doppia imposizione stipulati tra i Paesi membri dell'organizzazione e, in questo modo, hanno assunto il rango di regole vincolanti per gli Stati firmatari, secondo i principi del diritto internazionale.
Del resto, l’art. 75 del d.P.R. 600/73 prevede che nell'applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia; e l’art. 169 del TUIR stabilisce che la deroga agli accordi internazionali è ammessa solo ed esclusivamente per il caso in cui le norme nazionali dovessero rivelarsi più favorevoli («Le disposizioni del presente testo unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione»).
Va altresì ricordato che Italia e Malta, in quanto Paesi membri dell'OCSE, hanno siglato, nel 1981, l'accordo per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e prevenire le evasioni fiscali. Tale convenzione, richiamata anche dal tribunale del riesame, recepisce ovviamente i principi della Convenzione OCSE, tra cui il criterio unico della direzione effettiva necessaria per incardinare la residenza della società in caso di conflitto. E difatti, l’art.4, comma 1, dell'Accordo Italia -Malta stabilisce che quando una persona diversa da una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, si ritiene che essa è residente nello Stato contraente in cui si trova la sede della sua direzione effettiva. La direzione effettiva, poi, va individuata, come già indicato, sulla base dei criteri interpretativi forniti dal paragrafo 24 del Commentario all’art. 4 della Convenzione OCSE.
Ne deriva che, sulla base delle norme pattizie, in caso di conflitto di imposizione tra Italia e Malta, è necessario individuare un unico Stato in cui incardinare la residenza fiscale dell'ente, che è quello in cui effettivamente e stabilmente la società ha la direzione effettiva.
Nella specie il tribunale del riesame ha sostanzialmente riconosciuto l'esistenza di un conflitto di imposizione tra Italia e Malta ma non ha applicato le norme pattizie per risolverlo. E difatti, da un lato, ha ravvisato la residenza di R. in Italia con riferimento al criterio dell'oggetto principale - anche se sulla scorta di una erronea applicazione dell'art. 73 TUIR -; dall'altro lato, ha riconosciuto il collegamento con lo stato Maltese poiché ivi è stabilita la sede legale della Società.
Ora, ai sensi dell’art. 4 dell’Accordo bilaterale e dei criteri ermeneutici forniti dall'OCSE, in caso di conflitto è necessario individuare un solo stato di residenza, che è quello in cui vi è la sede di direzione effettiva dell'ente, non essendo invece possibile affermare o ipotizzare, come ha fatto l’ordinanza impugnata, che vi sia una doppia residenza (cfr. pag. 5, ove si sostiene che la società dovrebbe considerarsi fiscalmente residente anche in Italia). Del resto, la stessa ordinanza impugnata ha affermato testualmente che non vi erano sufficienti elementi che indicavano che la sede effettiva della società fosse in Italia, sicché doveva escludersi allo stato che la sede di direzione effettiva fosse in Italia.
Ne consegue, che, stante la ritenuta (dal tribunale del riesame) insussistenza di elementi idonei ad affermare che la sede effettiva della Società si trovi in Italia, la R. non avrebbe potuto considerarsi residente anche in Italia.
4. Deve quindi ritenersi, sulla base delle stesse considerazioni svolte dal tribunale del riesame, che non sussista allo stato il fumus dei reati ipotizzati.
E’ opportuno peraltro anche rilevare che comunque non appare sussistere nemmeno il requisito del vincolo di pertinenzialità tra oggetto del sequestro e reati ipotizzati. L’ordinanza impugnata, invero, non ha riscontrato nessun elemento per identificare la coincidenza tra le somme sottoposte a sequestro e i proventi dell'impresa e si è, invece, limitata ad affermare che le stesse non possono rappresentare solo le somme di pertinenza dei giocatori. L’affermazione appare però apodittica e presuntiva, e non tiene conto che la ricorrente aveva spiegato e documentato, anche alla luce della normativa sull'offerta dei giochi a distanza, il funzionamento del conto di gioco dedicato e quindi l'impossibilità che le somme in esso depositate rappresentassero proventi di impresa. D’altra parte, la L. n. 88/2009 ed il provvedimento concessorio di cui è titolare la R. prevedono, di fatto, una limitazione, in termini di utilizzo e destinazione, delle somme depositate sul "conto dedicato" che devono essere impiegate esclusivamente per le operazioni di addebito e/o di accredito del conto di gioco degli utenti. Questa limitazione si sostanzia per legge in un vincolo di indisponibilità delle somme in capo al titolare della concessione che non può né incamerarle, né ritirarle, né utilizzarle o investirle in alcun modo.
Apoditticamente, e con motivazione apparente, quindi, il tribunale del riesame ha superato l’eccezione della difesa secondo cui le somme depositate presso il "conto dedicato" non costituiscono i proventi dell'attività di impresa della società concessionaria, poiché rappresentano solamente la sommatoria dei saldi presenti sui conti di gioco dei giocatori.
5. Il quarto motivo, con cui si deduce insussistenza del periculum in mora e comunque motivazione meramente apodittica e in sostanza inesistente sul punto, resta di conseguenza assorbito.
6. In conclusione, poiché - almeno allo stato, sulla base degli elementi emergenti dalla ordinanza impugnata - non appare ravvisabile il fumus dei due reati tributari ipotizzati né il vincolo di pertinenzialità fra essi e il conto oggetto di sequestro, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio unitamente al decreto di sequestro preventivo emesso il 23 marzo 2013 dal Gip del tribunale di Busto Arsizio. Conseguentemente, va disposta la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro preventivo emesso il 23 marzo 2013 dal Gip del tribunale di Busto Arsizio, ed ordina la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.