Due vicende – molto diverse tra loro - hanno visto coinvolti nell’ultimo anno due dipendenti del Casinò di Venezia. Una prima storia si è conclusa a lieto fine (salvo eventuali ricorsi), per l’altra invece si dovuti arrivare fino alla Corte di Cassazione.
In questo Articolo:
Scrive un post polemico su Facebook: licenziato dal Casinò di Venezia ma..
Nel luglio 2023 un croupier del Casinò di Venezia è stato licenziato per aver commentato un post di una notizia riguardante la sala da gioco veneta. Il titolo dell’articolo condiviso sui social era: “Venezia, al via un corso per croupier: ci sono 60 posti, costa duemila euro”. Il dipendente aveva commentato questa news riguardo a un corso di formazione organizzato proprio dal casinò lagunare.
Le sue parole, evidentemente, erano state mal interpretate e, addirittura, avevano portato al licenziamento dello stesso. L’uomo ha presentato ricorso al Giudice del Lavoro di Venezia e, proprio in questi giorni, è arrivata la sentenza a lui favorevole: dovrà essere reintragrato.
Secondo la Dottoressa Chiara Coppetta Calzavara non sussisteva proporzionalità tra la condotta del dealer e il drastico provvedimento del licenziamento. Il Giudice non ravvisava neanche i presupposti per il reato di diffamazione nei confronti della sala da gioco.
E’ stato quindi condannato il casinò a reintegrare in via immediata il dealer, con il pagamento di un risarcimento di ben 12 mensilità e delle spese legali sostenute.
I casi dei cassieri che intascavano le mance: la Corte di Cassazione si è espressa
Nel dicembre del 2022 vi abbiamo raccontato della vicenda del cassiere del Casinò di Venezia accusato di aver rubato le mance che i clienti versavano ai dipendenti della sala.
L’amministrazione comunale, unica azionista, aveva subito denunciato l’accaduto alle autorità competenti. L’uomo era stato sorpreso dal sistema di sicurezza interno secondo la versione raccontata dal Sindaco Luigi Brugnaro che aveva indicato la strada della “tolleranza zero” verso chi provava a fare il furbetto. La vicenda giudiziaria è ancora in corso ma è collegata a un altro precedente ancora più importante che fa giurisprudenza.
Casinò di Venezia: la cassiera sorpresa nel 2018
Questa storia – infatti - è legata a doppio filo a una decisione avvenuta pochi mesi fa da parte della Cassazione per un episodio analogo. Nel 2018 era stata licenziata una cassiera del Casinò di Venezia (addetta alla sala slot) perché accusata di essersi intascata una parte delle mance, per un ammanco pari a 90 euro.
Era stata sorpresa dalle telecamere interne del Casinò. In genere però le telecamere servono per risolvere problemi inerenti le dinamiche ai tavoli e non per motivi disciplinari verso i lavoratori, almeno questo secondo l’accordo sindacale sottoscritto nel 2004 che, inoltre, prevede che le immagini audiovisive siano usate solo per discolpare e non incriminare i dipendenti. Un accordo alquanto singolare.
In casi però gravi – stabiliscono i giudici della Corte di Cassazione nella sentenza del 2023 – le immagini registrate delle telecamere possono essere uno strumento di prova da usare contro il dipendente infedele.
Nel 2018, per documentare l’ammanco di 90 euro, la sala aveva utilizzato i filmati per accusare la donna e motivare il licenziamento.
Le sentenze di primo e secondo grado
In primo grado però il Tribunale del Lavoro aveva riconosciuto il provvedimento illegittimo, proprio per l’utilizzo improprio delle riprese vietate dall’accorso sindacale sottoscritto nel 2004 tra i dipendenti e il Casinò. Il Giudice aveva motivato il suo provvedimento a favore della lavoratrice: le immagini “non possono essere impiegate per elevare contestazioni disciplinari ai lavoratori, ma solo a loro discolpa”.
In Corte d’Appello a Venezia però c’è stato un ulteriore colpo di scena: dal 6 novembre 2018 i giudici di secondo grado hanno considerato risolto il rapporto di lavoro tra la cassiera e l’azienda veneziana.
." ... qualora dall’istruttoria svolta dal datore di lavoro fossero emersi 'casi di particolare rilevanza o gravità' le predette risultanze (dalle immagini delle telecamere, ndr) potevano essere utilizzate anche 'a carico' del lavoratore, ovverossia per contestare e provare fatti disciplinarmente rilevanti".
Corte di Cassazione
Il ricorso in Cassazione e la sentenza definitiva
Così la lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione motivando così: “dalla lettura delle clausole dell’accordo del 6.4.2004, emergeva con chiarezza che l’unica circostanza che avrebbe legittimato la visione dei filmati era quella della sussistenza di contestazioni ai tavoli da gioco o alle attività connesse per cui non era consentita sul presupposto di irregolarità procedimentali e, addirittura, nel caso del 19 ottobre 2018, senza alcuna giustificazione, di talché essi filmati erano inutilizzabili ai fini disciplinari".
La Corte di Cassazione, pochi mesi fa, ha respinto il ricorso motivando così la decisione: "la Corte territoriale, attraverso un complessivo esame dell’accordo, avendo riguardo al tenore letterale del verbale di accordo (…) ha ritenuto che la volontà delle parti era nel senso che, in linea generale, le videoregistrazioni non potevano essere utilizzate per provare comportamenti disciplinarmente rilevanti a carico del lavoratore ma solo per trarne elementi 'a discarico' di quest’ultimo, mentre, qualora dall’istruttoria svolta dal datore di lavoro fossero emersi 'casi di particolare rilevanza o gravità' le predette risultanze potevano essere utilizzate anche 'a carico' del lavoratore, ovverossia per contestare e provare fatti disciplinarmente rilevanti".
Nel ricorso i giudici della Cassazione hanno evidenziato che l'ex dipendente "si è limitata a fornire, a fronte di una plausibile interpretazione dell’accordo, una diversa esegesi dello stesso, lamentando una operazione lacunosa ed atomistica adottata dalla Corte di merito ma senza specificare quali fossero, in concreto, le violazioni delle regole di ermeneutica negoziale sotto il profilo letterale e logico-sistematico in ipotesi commesse dai giudici di appello.
Ciò a fronte, si ribadisce, di una interpretazione ragionevole e plausibile dell’accordo che trovava, secondo l’assunto dei giudici di seconde cure, una sua ratio nella giustificazione dell’utilizzo, a fini disciplinari, delle riprese video - in un contesto, peraltro, in cui non sono stati prospettati problemi sulla installazione dei relativi impianti- solo nei casi di particolare rilevanza e gravità nonché a seguito di una istruttoria da parte della Direzione Giochi, così escludendo ogni margine di arbitrarietà e dando una lettura equilibrata delle disposizioni".
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