Il caso Adelstein-Lew. Provare a fare una disamina rispetto all'episodio dell'anno che ha coinvolto Robbi Jade Lew e Garrett Adelstein, potrebbe cocciare contro il comune sentire di chi legge i nostri articoli.
Ma siamo in ballo ed è nostro dovere ballare anche e soprattutto alla luce di tutta una serie di considerazioni lette e sentite da più parti, la stragrande maggioranza delle quali dettate da un impulso di "protagonismo social", vero e proprio male assoluto della superficialità diffusa, ahynoi, facente capo a qualsivoglia argomento di portata generalista.
In questo Articolo:
Le reazioni di pancia sul caso Adelstein-Lew
Il nostro movimento, quello dei giocatori, degli appassionati del poker e del gioco in tutte le sue forme, benché regolamentato, non ha praticamente nulla di generalista.
Il pokerista fa parte di un mondo "a sé", come uno dei tormentoni lanciati insieme al mio compagno di milioni di avventura al microfono Antonio Graziano, palesava qualche anno fa durante i commenti degli European Poker Tour.
Se si parte da questo presupposto, la necessità di intervenire da parte di chiunque, è corroborata dalla consapevolezza, nella maggioranza dei casi sopravvalutata, di avere i titoli per poter dare un giudizio al motto di "io gioco a poker, per cui posso dire qualsiasi cosa".
Questo accade soprattutto quando di un argomento si pensa di avere padronanza assoluta semplicemente perché non tutti potenzialmente la hanno. In questo caso "io gioco a poker e tanti altri no, quindi IO SO".
Il problema è che nelle situazioni, nei contesti, negli abiti altrui, qualche volta, ci si dovrebbe calare una volta per tutte per capire se sia o meno il caso di proferir giudizi, come scriveva Manzoni.
Siamo tutti Adelstein
Il successo degli streaming dell'Hustler Casino, è dovuto al fatto che il mix esplosivo dei personaggi che lo rendono uno show unico nel suo genere, porta spesso a giudicare le mani o, come in questo caso, gli episodi, in maniera piuttosto lontana dalla realtà. O almeno questo succede contestualmente all'azione che viene osservata, stigmatizzata, giudicata in mutande sopra il proprio letto, con tutta una serie di atmosfere altre che il giocatore impegnato sente, nel senso più inglese del termine "to feel", in maniera diametralmente opposta rispetto a come -non- la sente chi sta a casa.
Per questo motivo la maggior parte di noi ha provato una sorta di cazzotto sulla bocca dello stomaco quando ha sentito il "Call" della Lew senza una cippa di niente in mano.
È umano che la prima reazione, seppur in difetto di miliardi di informazioni, sia quella di pensare al fatto che una chiamata così non potesse avere diritto di cittadinanza alcuno da qualsiasi parte la si possa, o voglia, vedere.
Il tutto è però originato dall'esperienza che ogni giocatore ha maturato ai tavoli dai propri inizi fino al momento in cui è stato attratto dalla mano in questione. Per quanto riguarda la fattispecie del caso Adelstein-Lew, nessuno, o almeno la stragrande maggioranza di noi, avrebbe fatto quel call, su questo siamo tutti d'accordo.
È sembrato quasi un "call in bluff", come un mitico nickname di PokerStars metteva in evidenza qualche anno fa. Una roba abbastanza abominevole se si pensa al contesto così noto e importante come una partita "COME QUELLA", in un streaming importante "COME QUELLO" e, dettaglio non certo marginale, con un piatto "COME QUELLO".
L'immediata reazione di ognuno di noi è stata quindi quella di stupore, con un'espressione esterrefatta simile quella di Adelstein, seguita da quella patina di orgoglioso spirito di rivalsa rispetto a qualcosa che potrebbe sembrare davvero poco chiara e che potrebbe rivestire i panni dell'ingiustizia.
Ma è davvero così?
Adesso però, se vogliamo provare ad entrare profondamente nell'accaduto, vi è da mettere in evidenza che non siamo tutti uguali.
Che se negli ultimi decenni si è combattuta all'arma bianca la discriminazione verso ciò che si considera "diverso", è giusto che, fatte le debite proporzioni, per carità, il beneficio del dubbio venga assegnato e riconosciuto ad una ragazza della quale sappiamo ben poco e che potrebbe reagire ad una situazione di questo tipo in modo piuttosto diverso da come avremmo potuto reagire tutti noi.
Chi si è sciroppato tutto lo streaming in diretta, ha immediatamente capito che tra la Lew e Andy, Adelstein, Persson o Ivey, non ci sono step di distanza. Ci sono proprio delle categorie di svantaggio. Delle montagne da scalare, per capirci.
D'altronde, anche se non si è vista tutta la diretta, basta analizzare il mini raise a 20.000 del turn che contro uno come Adelstein equivale a consegnarsi senza il minimo di possibilità di sopravvivenza.
E se un/una giocatore commette quel tipo di errore, è abbastanza palese essere consapevoli che ne potrebbe commettere uno anche peggiore in una mano successiva. O, come è successo, addirittura nella stessa mano.
Le parole di Daniel Negreanu
Nel pezzo di Domenico Gioffrè, nel quale alcuni dei più titolati professionisti dicono la loro sull'accaduto, vi sono le parole di Daniel Negreanu, sulle quali non si può non essere d'accordo.
“Gioco da 30 anni e posso dire di aver visto una miriade di cose strane, da parte di giocatori amatoriali, cose che non hanno alcuna logica e accadono solutamente per via di situazioni di forte stress alle quali non sono abituate, e cadono in qualche lapsus.”
Nel suo thread su Twitter, in cui improvvisamente veste i panni di un novello Roy Batty (il replicante di “Blade Runner”), Daniel continua con gli esempi: “Ho visto giocatori checkare dietro il nuts, chiamare con il board sul river, chiamare in settima quando non battevano le mie carte scoperte a Stud. Queste cose accadono ancora più facilmente quando ci sono le luci delle telecamere e la sensazione che il mondo ci stia guardando. Paura, ansia eccetera possono portare il cervello a fare degli errori banali, e credo che sia quanto successo in questa mano”.
Chiunque giochi a poker deve essere d'accordo con ciò che "KidPoker" ha scritto. Se siete giocatori avrete certamente assistito a qualcosa di strano.
Sulle accuse di Cheating
Le accuse di cheating, peraltro rispedite al mittente dal padrone di Hustler Casino Live, Nick Vertucci che parla di sistema di sicurezza praticamente inviolabile, necessitano di una fondatezza che nessuno, almeno fino a questo momento, è riuscito a dimostrare. Nulla, nemmeno l'ombra.
Qui non è in ballo la certificazione di un sistema di sicurezza di una trasmissione streaming, nessuno può pensare che un flusso di denaro come quello che garantisce la trasmissione di questi eventi, possa essere messo a repentaglio per un piatto vinto ad un mostro sacro come Adelstein ed una ragazza non proprio conosciutissima a livello planetario, che, almeno fino ad ora, non ha esattamente dimostrato di essere Stu Ungar a Gin Rummy.
Qui si tratta di certificare, cosa molto più importante, l'onestà di una persona, prima che di una giocatrice, che potrebbe, per adesso noi non possiamo saperlo al netto delle indagini che l'Hustler sta conducendo da giorni, essersi trovata in una situazione che non è riuscita a gestire.
Anche il fatto che solo dopo un po' di tempo ha pensato di appigliarsi alla possibilità di avere un 3 invece che un 4, può potenzialmente fare parte di un momento di estrema confusione che l'ha attanagliata e le ha fatto dire tutta una serie di cose che ad una prima analisi possono far pensare che qualcosa di losco ci sia.
Ma cosa? Un segnale? Un modo truffaldino di quelli di cui ogni pokerista ha sentito l'esistenza? Davvero difficile in un contesto come quello dell'Hustler, anche se nulla si può scartare a priori. Troppe le situazione spiacevoli alle quali abbiamo assistito, ma senza una prova è giusto che tutti i componenti di questa stranissima storia, godano della nostra fiducia.
Tutti, almeno fino a prova contraria dimostrata, eccetto ciò che abbiamo visto: una terribile mossa che si è conclusa nel più incredibile dei modi a favore della giocatrice che l'ha messa in atto.