Ai tavoli non da tempo non lo si vede praticamente più, ma c'è una ragione: Jonathan Duhamel ha intrapreso una battaglia contro la Canada Revenue Agency (CRA), ovvero l'agenzia che si occupa della riscossione delle tasse per il paese con la foglia d'acero. Una battaglia durata quasi 10 anni ma che, alla fine, lo ha visto uscire vincitore. Le ragioni che lo hanno portato a vincere in aula, tuttavia, sono destinate a far discutere.
In questo Articolo:
Jonathan Duhamel vs il fisco canadese: le tappe della battaglia
Il trionfo WSOP e le altre vittorie
Vincitore del Main Event WSOP 2010, quello del quarto posto di Filippo Candio e di uno dei più clamorosi scoppi nella storia del poker, l'allora 23enne Jonathan Duhamel aveva dunque firmato un ricco contratto da testimonial con PokerStars. Poi il canadese aveva continuato a ottenere risultati, vincendo altri due braccialetti (il 111.111$ One Drop High Roller e il 25k WSOPE, entrambi nel 2015).
Duhamel testimonial di PokerStars
Quindi arrivò la fine del suo contratto con PokerStars e una lenta e progressiva sparizione dalle scene, anche perché nel frattempo a lui si era interessata l'agenzia canadese delle tasse. Era il 2013, l'anno in cui prese il via la battaglia tra Jonathan Duhamel e il fisco canadese.
2013: l'inizio del contenzioso con il fisco
La CRA contestava a Duhamel dei redditi non dichiarati per gli anni 2010, 2011 e 2012 per circa 5,3 milioni di dollari, ben 4,8 dei quali relativi al primo anno, ovvero quello del trionfo nel Main Event. La ragione di tale contestazione stava nella valutazione, fatta dalla CRA, che quei guadagni fossero frutto di una attività considerabile un vero e proprio business. Al contrario, Duhamel sosteneva che il poker è sostanzialmente un gioco di fortuna, per cui le vincite che ne derivano non sono tassabili per la legge canadese. Secondo il Tax Act, infatti, tutte le vincite da lotterie e scommesse non sono tassabili.
Hobby o business?
Su queste basi è iniziata una lunga battaglia legale, che è durata quasi un decennio. La CRA insisteva nell'idea che anche l'attività di poker player potesse essere considerata alla stregua di quella di un businessman, con annesse valutazioni di risk management e aspettative di profitto. Per Duhamel, invece, la sua attività di poker player è sempre stata di natura ricreativa, amatoriale, sostanzialmente un hobby.
I super esperti in aula
La lunga causa ha visto alternarsi in aula anche degli esperti. Duhamel ha portato come consulente un dottore di ricerca in matematica, mentre l'agenzia ha interpellato un esperto in economia. Tuttavia, nessuno dei due è riuscito a convincere la corte sul fatto che il poker sia esclusivamente un gioco di fortuna, o esclusivamente di abilità.

Duhamel vs CRA: "si sta ribaltando la situazione" (cit.)
Al pubblico del poker e a noi addetti ai lavori questo tipo di contenzioso può risultare bizzarro, poiché per anni abbiamo assistito a tentativi da parte dei giocatori di dimostrare l'importanza della parte di abilità insita nel poker, mentre il fisco o la giurisprudenza partivano da posizioni spesso opposte. Qui è di fatto il contrario.
L'accusa (la CRA) sostiene che l'attività di poker player può ritenersi assimilabile a quelle di altri business . La giurisprudenza canadese sosteneva che "l'attività di gioco del poker può essere considerata tassabile solo se il contribuente ha una "soggettiva e predominante intenzione" di ottenere un profitto, e se tale attività viene portata avanti con i criteri e gli standard oggettivi di un normale uomo d'affari".
La strategia di Duhamel: "non sono abbastanza bravo"
In queste pieghe interpretative si è fondata la strategia di Duhamel, il quale ha dichiarato di non avere alcuna preparazione per il gioco, nessun "sistema" per sconfiggere la componente aleatoria, né particolari strategie che permettano di vincere al di là delle normali probabilità del gioco. Dunque, secondo la sua interpretazione, il suo modo di giocare a poker non gli dava "alcuna maggiore aspettativa di profit, nel medio-lungo periodo."
Cosa diceva la Corte Suprema
La chiave di tutto è stata una sentenza della Corte Suprema del 2002. Tale pronunciamento stabiliva che il punto di partenza per stabilire se una attività sia tassabile o meno è accertare se l'attività viene portata avanti nella ricerca del profitto o se è solo di natura personale. In questo secondo caso, per divenire tassabile l'attività deve avere un sufficiente "livello di commercialità".
La carriera di Duhamel passata al setaccio in aula
Partendo da questo, la corte ha effettuato una lunga e approfondita analisi dell'attività di Duhamel. Del campione canadese sono state analizzate le varie competenze tecniche, la preparazione, la conoscenza del gioco, le prospettive di carriera, il bilancio di vincite e perdite nell'arco degli anni, la sua capacità di ottenere un profitto a lungo termine dalle sue attività legate al poker, la sua capacità di controllo del rischio o eventuali strategie di risk management.
La sentenza
Al termine di lunghe analisi e interminabili dibattimenti, il giudice ha concluso che "valutate tutte le prove e le probabilità, le attività pokeristiche di Duhamel non sono state portate avanti in una maniera "sufficientemente commerciale" da costituire un business secondo quanto stabilito dal Tax Act". Dunque, i guadagni contestati a Jonathan Duhamel sono da considerare non tassabili.
Immagine di copertina: Jonathan Duhamel (courtesy Danny Maxwell & PokerNews)