Le storie di Assopoker questa volta sono andate a trovare Dario Sammartino, il vice campione del mondo che quest'anno ha fatto sospirare l'Italia durante il Main Event delle World Series Of Poker. Ne è venuta fuori quasi una sceneggiatura di un film dalla quale trarre decine di consigli utili per affrontare la vita da pokerista nel migliore dei modi. L'abbiamo suddivisa in più parti per permettervi di godere a pieno di ciò che il napoletano ci ha rivelato. Eccovi la prima parte.
Dario Sammartino è uno dei giocatori che meglio hanno interpretato la crescita che un professional poker player dovrebbe avere nell'arco della sua carriera, sotto tutti i punti di vista, tecnico, mentale, strategico. Le storie di Assopoker questa volta hanno mirato al bersaglio grosso e solo leggendo questa intervista capirete perché. Buona lettura.
Ti faccio pagare subito la tassa dell’intervistato, così ce la togliamo di mezzo. Torniamo indietro di 10 anni, siamo dentro un Casinò, quello di Sanremo, è ormai quasi Natale. C’è un tavolo finale in corso al Main Event di un torneo Sisal. Borea ha una coppia di 5 e Sammartino ha gli Assi, al flop vanno tutte in mezzo, il sardo ha settato i suoi 5 e il napoletano assiste impotente a turn e river bianche. Sammartino si alza verso un quadro rinascimentale e gli fa un sacco di domande per capire dove ha sbagliato. Dopo quel torneo Borea ha parlato per 10 anni con tutti i quadri rinascimentali possibili e immaginabili, mentre Sammartino è diventato vice campione del mondo. Dove ho sbagliato? E dove hai indovinato?
“C… rotto! Posso rispondere solo così a questa domanda. Mi mandasti a parlare coi muri tutta la giornata, perché mi sentivo proprio ‘bello’ quel giorno.
Penso che nessuno dei due abbia fatto scelte giuste o scelte sbagliate, sono state semplicemente scelte differenti, come tante se ne prendono nella vita e penso che dentro di te la consapevolezza di voler diventare un professional poker player non ci sia mai stata, se no lo avresti fatto, o almeno ci avresti tentato seriamente.
Inoltre sarebbe ora di sfatare questa cosa che la vita del giocatore di poker sia generalmente tutto questo Carnevale di Rio.
A parte quelle pochissime persone, e in Italia ti posso garantire che si possono contare sulle dita di una mano e ovviamente tra di loro mi ci metto anche io, non ci sono altri giocatori che possano poter dire di aver raggiunto quella tranquillità economica e soprattutto mentale che non ti faccia pensare ad alcun problema.
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Non è mai stato facile
Sulle dita di due mani, invece, posso allargare il campo a quelli che passano una vita relativamente tranquilla, ma i problemi rimangono lì, dietro l’angolo e non ti parlo di quelli economici. Capisco che da fuori la vita del pokerista a certi livelli possa essere vista come qualcosa di speciale, ma credetemi, non è così.
A prescindere dal discorso “meteore” che io e te ne abbiamo viste a centinaia e altrettante ce le siamo dimenticate proprio, il poker prima di tutto deve essere sempre visto come un gioco, se poi senti veramente quella devozione, riesci a vedere quei margini che un tempo erano molti di più rispetto a quelli che ci sono ora, allora ci si potrebbe pure fare un pensierino, ma se io avessi un figlio e mi dicesse ‘papà, voglio fare il poker player’, gli direi: ‘guarda guagliò, vattene a faticà, jà’.
Il consiglio è quello di rimanere coi piedi per terra, mi stai dicendo?
"Il poker è veramente il gioco più bello al mondo, ma se viene interpretato come un lavoro non c’è veramente quasi mai scampo. O hai una capacità di reazione fortissima per sopportare una centrifuga che ti investe puntualmente quando pensi che le cose stiano andando per il meglio, o veramente lascia perdere. È un gioco che a certi livelli non ti dà mai tranquillità.
I margini, le strategie e le opportunità cambiano alla velocità della luce, per cui diventa un lavoro che non potrà mai darti la serenità che alcuni, non tutti, altri lavori possono assicurarti. Poi è comunque una scelta, se ti piace questa vita, e a me piace, allora devi vedere se fa per te nel medio lungo periodo.
La propensione al rischio
Io stesso posso dirti che qualche anno fa mi piaceva di più, ma è tutta una questione di propensione al rischio. Quando cominci a crescere essa diminuisce proporzionalmente così come finisce il mero divertimento e si pensa di più alla sfida, soprattutto con te stesso... E quando si tratta di te stesso il rischio lo riduci al minimo.
La mia condizione di privilegiato è quella che agli inizi volevo che il poker diventasse il mio lavoro, lo è diventato perché grazie al cielo sono portato, ma oggi come oggi è di nuovo diventato un gioco, non devo più pensare a guadagnare.
Vado a giocare quando voglio e dove voglio, non prendo per forza un aereo perchè devo. E questo mi dà un margine ulteriore verso chi gioca perchè deve costruirsi il bankroll o addirittura perchè, purtroppo in alcuni casi, è una delle sue ultime chance".
Dario Sammartino e il rapporto con gli altri
Lo straordinario successo che ti sei guadagnato step by step, non ha cambiato di una virgola il tuo modo di porti con chiunque ti si presenti davanti in cerca di un consiglio, di una parola, di un selfie. È una tua predisposizione che traspare anche sui social. Pensi sia una dote naturale dovuta al piacere di stare in mezzo alla gente, oppure è un “ruolo” che ti sei ritagliato rispetto al quale è impossibile tornare indietro e ti costa un po’ di fatica?
"Lo sai, per me i rapporti con le altre persone sono una componente fondamentale, decisiva, è sempre stato così.
Non ho quasi mai fatto nulla da solo, ho sempre condiviso tutto, successi e fallimenti e ho sempre sentito che la felicità condivisa con una o più persone che ti vogliono davvero bene, agisca da moltiplicatore e ti faccia sentire ’n’ volte meglio.
E quando le cose vanno male un amico, una persona cara, qualcuno che condivide con te un dispiacere, attutisce i colpi, li rende meno dolorosi".

Kanit e gli altri
"Ti posso fare l’esempio di Musta (Mustapha Kanit) con il quale ho vissuto praticamente tutta la vita pokeristica condividendo ogni cosa fin da "piccoli" e con cui ho passato dei periodi infernali. Quando sono stato a Macao a giocare cash game, Musta aveva la mia quota e ho perso una somma davvero irreale nel giro di due ore, se in quel momento non fossimo stati insieme a supportarci l’uno con l’altro, non so come sarebbe andata a finire.

Questo significa che devi essere tu, giocatore, a instaurare dei rapporti basati sulla sincerità. Per questo motivo cerco di pormi con tutti per come sono veramente, perchè già è tutta una vita che devo per forza indossare una maschera per essere performante al tavolo da gioco, se poi devo mettermi a bluffare pure nella vita reale, diventa tutto fin troppo pesante.
È un esercizio che non sempre riesce alla perfezione, perché ci sono dei momenti in cui gioco forza devi ‘nasconderti’ o non essere te stesso, ma di sicuro almeno l’istinto iniziale è quello e la maggior parte delle volte, mi riesce.
Quindi sotto questo aspetto, sì, è una sorta di predisposizione naturale, ma non tanto perchè oggettivamente sia così, quanto perché esso è 'egoisticamente' un modo per ripararmi dalle cattiverie che spesso si incontrano durante il proprio cammino. E sono convinto che questo valga nel poker come in qualsiasi altro campo della vita. Circondarsi di persone da cui puoi ricevere e a cui puoi dare sensazioni positive, o amicizia o addirittura amore, è una formidabile barriera che ti mette al riparo dalla maggior parte delle brutte sorprese".
-Fine prima parte-
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